La guerra dei chip continua. Biden li porta in Usa e irrita la Cina

ago 11, 2022 0 comments


Di Lorenzo Vita

La sfida tra Cina e Stati Uniti per Taiwan passa necessariamente per i chip, vero e proprio tesoro dell’isola del Pacifico. Ma se Taipei è il fronte più caldo di questa sfida per i semiconduttori che divide Washington e Pechino, la questione esula dal “semplice” controllo dell’isola, ampliandosi anche al territorio americano.


La conferma dell’importanza di questo scontro e del valore dato ai semiconduttori nella logica imperiale di Repubblica popolare cinese e Stati Uniti è il disegno di legge bipartisan Chips and Science Act 2022: una misura dal valore di 52 miliardi di dollari che ha lo scopo di rafforzare ricerca e sviluppo di semiconduttori nel territorio Usa. Il presidente Joe Biden ha spiegato l’importanza di questa proposta spiegando che i chips sono “alla base dell’economia moderna” e ricordando come “un tempo gli Stati Uniti avevano il 40% della produzione globale, ma poi con il declino della nostra manifattura le produzioni si sono spostate oltreoceano”.


L’obiettivo dell’amministrazione democratica è duplice. Da un lato c’è quello più momentaneo e contingente di spostare la produzione in casa per chiare motivazioni di natura elettorale: attivare fabbriche sul territorio nazionale, in piena campagna elettorale per elezioni di midterm e con un Biden in crisi di fronte all’onda repubblicana, è un segnale di volontà di recuperare terreno nell’opinione pubblica. Non caso, il giorno dell’approvazione della legge la compagnia statunitense Micron ha annunciato un investimento da 40 miliardi di dollari che si concretizzeranno, a detta del colosso Usa, in 40mila nuovi posti di lavoro. Linfa vitale per una presidenza apparsa molto fragile e destinata a subire un pesante contraccolpo.


Ma al netto della, pur fondamentale, questione elettorale, c’è il tema più importante che è quello dello scontro con la Cina. La conferma di questa importanza internazionale del Chips and Science Act firmato da Biden arriva da due reazioni di natura diplomatica. La prima, interna, è rappresentata dalla nota pubblicata dal segretario di Stato Usa, Antony Blinken. Il capo della diplomazia statunitense ha definito il provvedimento bipartisan come “un passo in avanti fondamentale per preparare la nostra economia a quelle che saranno le sfide del 21mo secolo”. Mentre dal fronte opposto, quello cinese, sono arrivate dure parole di condanna. Come riporta Agi, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha attaccato il provvedimento americano denunciando “restrizioni ai normali investimenti e alle attività economiche e commerciali di aziende rilevanti in Cina” e ribadendo che queste misure definite all’interno del Chips and Science Act “hanno un forte colore geopolitico e sono un altro esempio della coercizione economica degli Stati Uniti”.


La questione negli ultimi giorni è diventata importante anche per il rafforzamento della cosiddetta alleanza dei “Chips 4”, una piattaforma di cooperazione sui semiconduttori tra Stati Uniti, Giappone e Taiwan a cui sembra possa unirsi anche la Corea del Sud. Secondo la stampa sudcoreana, il presidente ha detto che tutti i ministeri coinvolti stanno valutando la questione “attraverso la lente dell’interesse nazionale”, anche se il ministro dell’Industria, Lee Chang-yang, ha attualmente smentito la partecipazione di Seul perché “non intende aderire a un gruppo esclusivo che ostracizzi certi Paesi, come la Cina”. Per la Corea del Sud si tratta di bilanciare due interessi contrapposti: quello del suo maggiore alleato militare e quello del suo maggiore partner economico. Il governo asiatico non vuole essere inserito in un sistema in cui la sfida a Pechino rischia di compromettere la propria economia. Ma è chiaro che ora la partita dei semiconduttori diventi sempre più centrale nelle logiche indo-pacifiche. E Taiwan, vero e proprio “Eldorado” dei chip, è stato un avvertimento molto chiaro. Come riporta Linkiesta, Taiwan oggi “produce il 20% dei semiconduttori mondiali e oltre il 90% dei chip più tecnologici”: chip che vengono utilizzati anche nei più importanti sistemi elettronici delle forze armate degli Stati Uniti, ma anche dai più importanti colossi dell’industria nazionale. Avere la capacità di produrre autonomamente questa tecnologia ed evitare che la Cina ne controlli la produzione e il commercio è un obiettivo imprescindibile. E Washington ne è perfettamente consapevole.

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