Il rock, Wind of Change e l’ombra della Cia: così la musica diventa anche un’arma (psicologica)

ott 6, 2023 0 comments


Di Emanuel Pietrobon

Nel repertorio della sezione psicologica delle guerre combattute con metodi e mezzi non convenzionali figura una vasta gamma di armi, delle quali le più utilizzate e note sono sicuramente cinema, pubblicità, radio, social media, social network, stampa e televisione.

Le armi presenti nel reparto psicologia delle guerre ibride non sono letali, perlomeno non in senso letterale, essendo la mente l’obiettivo dei loro attacchi. Mente da confondere o da convincere, da demoralizzare o da elicitare, da impaurire o da radicalizzare, da intorpidire o da instupidire.

Anche le opere meno intuitive possono essere uno strumento di manipolazione psicologica, come i murali, i meme e le canzoni. Riguardo queste ultime, la storia insegna che la musica può essere sia dolce e innocua melodia per le orecchie sia stordente motivo di abili incantatori di serpenti.

La tortura della musica

Non tutte le canzoni solleticano l’orecchio; alcune lo fanno sanguinare – e non perché la base musicale o la voce del cantante siano di scarsa qualità. La musica può essere uno strumento di sevizia e tortura di natura psicologica, un mezzo per un fine: l’esaurimento mentale dell’ascoltatore.

La tortura della musica, consistente nel costringere la vittima di turno ad ascoltare la stessa canzone – spesso ad alto volume – in loop per ore o intere giornate, fa parte dello strumentario degli specialisti dell’interrogatorio di paesi occidentali e non occidentali, democratici e dittatoriali. Dagli Stati Uniti a Israele, passando per Corea del Sud e dittature militari della Guerra fredda, i casi di musica utilizzata come mezzo di tortura sono molteplici.

Stati Uniti e Unione Sovietica sono stati i primi paesi a cogliere (e a capitalizzare) l’elevato potenziale della militarizzazione della musica. Ma mentre delle ricerche della seconda in materia di tortura musicale è dato sapere poco, degli studi (e dei risultati) dei primi si sa molto di più.

Negli Stati Uniti i primi esperimenti sulle applicazioni eterodosse della musica hanno avuto luogo all’interno del progetto MK-ULTRA, condotti principalmente da Donald Ewen Cameron, e hanno condotto all’elaborazione di tecniche di interrogatorio potenziato successivamente utilizzate dalla Central Intelligence Agency, in particolare nelle prigioni di Guantanamo e Abu Ghraib. Ma il caso più celebre di tortura musicale è stato e resta sicuramente il bombardamento hard rock con cui l’esercito statunitense riuscì, durante l’invasione di Panama, a ottenere la resa di un esausto e insonne Manuel Noriega.

Guerre ibride a colpi di percussione

Forse perché ritenuta innocua, intrattenitiva, e rilassante o eccitante a seconda del tema, la musica è una delle armi della guerra ibrida più sottovalutate dagli individui. Difficilmente un ascoltatore medio è in grado di riconoscere una psyop melodica quando l’ha davanti a sé. Più spesso, invece, ne assorbe inconsciamente i contenuti subliminali.

Ciò che sosteneva Josef Goebbels sulla musica, ossia che “colpisce il cuore e le emozioni più dell’intelletto”, ha del fondamento. Non solo perché si è rivelata un’arma efficace negli interrogatori non convenzionali e nella propaganda stricto sensu, ma perché è stata determinante (per gli Stati Uniti) durante la Guerra fredda.

Cinema, letteratura e musica. Gli Stati Uniti hanno vinto la dimensione culturale della Guerra fredda attraverso il cinema, commissionando a Hollywood la realizzazione di kolossal antisovietici e sull’American dream, la letteratura, delegando agli intellettuali la scrittura di libri persuasivi, tra i quali l’immortale 1984, e arruolando musicisti di ogni genere alla causa anticomunista.

Il campo di battaglia musicale della Guerra fredda è poco conosciuto al volgo, ma su di esso sono stati scritti diversi libri, come Music in America’s Cold War Diplomacy, e andrebbe studiato per una ragione molto semplice: cambiano le epoche, mutano i gusti, ma la musica è e resterà sempre (anche) un proiettore di potere morbido (soft power) capace di influenzare le masse.

Wind of Change, Winds of CIA

La musica può far vincere una guerra; lo insegna il caso studio degli Stati Uniti contro l’Unione Sovietica. A partire dal 1950, anno della fondazione del Congresso per la libertà culturale, gli Stati Uniti iniziarono un’offensiva culturale mirante a fare breccia a est della cortina di ferro attraverso la musica.

Gli Stati Uniti reclutarono inizialmente i compositori e le orchestre che l’Unione Sovietica aveva accusato di sterilità (intellettuale) e degenerazione (morale), organizzando festival e spettacoli poi rilanciati all’interno del blocco comunista grazie all’onda lunga di Voice of America. Fu successivamente arruolato il trombettista più celebre dell’epoca, l’afroamericano Louis Armstrong, per compiere dei tour nel Terzo mondo allo scopo di ripulire l’immagine degli Stati Uniti macchiata dalla segregazione razziale e dalla vicinanza ai morenti imperi africani delle potenze europee.

La musica era diventata uno dei tanti campi di battaglia dello scontro egemonico tra le due superpotenze tra gli anni Sessanta e Settanta, ma per la Central Intelligence Agency si poteva e si doveva fare molto di più: andavano conquistati i cuori e le menti degli abitanti del Patto di Varsavia. Un’ambizione che sarebbe stata raggiunta grazie all’aiuto di un alleato inaspettato: il rock.

I politici americani disdegnavano il rock, evoluzione simil-politica del rock and roll e fragorosa espressione della Controcultura degli anni Sessanta, perché coi suoi messaggi antisistema, anticonformistici, libertari e di rivolta culturale plagiava, a loro dire, l’integrità morale della gioventù a stelle e strisce. I psico-guerrieri di Langley, per gli stessi motivi, intravidero in questo genere musicale del potenziale per ammaliare “quelli che vivevano oltre il Muro”.

Il contrabbando di prodotti occidentali oltre il Muro era una realtà di cui le autorità comuniste erano a conoscenza negli anni Ottanta. Entravano soprattutto Bibbie, ma anche film, serie televisive e musica. Prodotti consumati perché, come insegna la psicologia, i beni son desideri. Di status e di stile di vita occidentali in questo caso. Langley, a un certo punto degli anni Ottanta, iniziò a contrabbandare al di là del Muro anche musica rock. Per gli stessi motivi per cui si provava a proibirla (con scarsi risultati) negli Stati Uniti: incitamento alla ribellione, messaggi antisistema, valori contrari sia al conservatorismo all’americana sia al comunismo sovietico.

Il più grande successo dell’operazione sex, coups and rock ‘n’ roll fu indubbiamente l’ipnotica e travolgente Wind of Change degli Scorpions, co-scritta da esperti di Langley e poi esportata a est di Berlino. Era il 1990. Sarebbe diventata l’inno delle proteste e delle rivoluzioni anticomuniste che, da Varsavia a Bucarest, portarono alla deflagrazione del Secondo Mondo e, infine, dell’Unione Sovietica. Da allora ad oggi nulla è cambiato, come dimostrano la guerra al rap lanciata da Vladimir Putin in Russia e la battaglia contro il K-Pop di Xi Jinping: la musica può essere innocua cantilena per le orecchie od oppioide per la mente prodotto da astuti avversari.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/il-rock-wind-of-change-e-lombra-della-cia-cosi-la-musica-diventa-unarma-psicologica.html

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