Il caso:l'appello di Togliatti ai «fratelli in camicia nera» nel 1936 per un'alleanza in funzione anticapitalista

giu 21, 2015 0 comments
 

Di Cesare Medail

Che nel primo dopoguerra il Partito comunista intendesse dialogare con i cosiddetti «fascisti di sinistra», avviando un processo di riconciliazione con gli stessi giovani di Salò, non è certo una novità per gli storici di quel periodo. Nel ' 45 toccò a Giancarlo Pajetta, l' intransigente «ragazzo rosso», scrivere su L' Unità che era giunto il momento di «riconquistare alla patria quei giovani disorientati e delusi dal regime»; ancora più esplicito, Ugo Pecchioli parlò di «necessaria chiarificazione con i coetanei che avevano scelto la Rsi perché frastornati dalla propaganda»; lo stesso Ingrao affermava su Pattuglia, rivista della Fgci, di non ritenere più utile guardare al passato degli ex fascisti, essendo molto meglio «guardare all' oggi». Se tutto ciò è abbastanza noto, molto meno palese è il processo che ha portato i comunisti italiani alle aperture del dopoguerra: non furono, infatti, svolte improvvise ma frutto di una riflessione strategica che risale a Gramsci e a Togliatti. È merito del mensile di storia contemporanea Millenovecento (terzo numero) avere ricostruito, in un saggio di Alessandro Marucci, la «lunga marcia» del Pci verso la riconciliazione con il popolo in camicia nera, anche perché dalla ricostruzione affiorano gli obiettivi reali della strategia. L' Internazionale aveva definito il fascismo «reazione capitalista», ma già al Congresso di Lione del ' 26, Gramsci vi aveva intravisto una «base sociale» che si andava dilatando grazie a ceti di recente formazione, come la nuova borghesia agraria e la piccola borghesia urbana. Riflessione decisiva, che Togliatti avrebbe sviluppato nelle famose Lezioni sul fascismo (Mosca 1935), in parte volte a capire la «fabbrica del consenso fascista» e il coinvolgimento delle masse nella vita del regime (bisogna arrivare a De Felice perché qualcuno ristudi a fondo quei meccanismi). Il fascismo, insomma, era per Togliatti «un regime reazionario di massa»: parola chiave, quest' ultima, di ogni strategia comunista. Se di masse si trattava, ancorché fasciste, un' iniziativa politica nei loro confronti era inderogabile. Ecco allora puntuale, su Lo Stato operaio, un editoriale intitolato «Largo ai giovani» (slogan fascista), dove i comunisti salutavano nei giovani littori un certo «anticapitalismo, per quanto vago e contraddittorio», segno di una nuova coscienza che andava maturando nella società italiana. Un mese dopo, nell' agosto 1936, sullo stesso foglio Togliatti lanciava esplicitamente un appello ai «fratelli in camicia nera», intitolato «Per la salvezza dell' Italia riconciliazione del popolo italiano!». La svolta del Pci non avveniva, dunque, di fronte a un regime in crisi ma durante la guerra d' Etiopia, negli anni del massimo consenso: Togliatti si rivolgeva anche ai lavoratori cattolici e a tutte le forze liberali e democratiche, richiamandosi al Risorgimento e trasferendo il mito nazionale nel corpus ideologico del partito. Pochi anni dopo, da Radio Milano Libertà si rivolgeva ai «fascisti in buone fede», ai quali chiedeva di impegnarsi per un' azione comune che avrebbe risparmiato al Paese la distruzione. Come sarebbe apparso ancora più evidente dopo la guerra nel dialogo con i «fascisti di sinistra» e gli ex repubblichini, il discorso ruotava attorno alle idee di patria e di nazione, ben lungi dalla tradizione leninista. Ma proprio qui sta la chiave per capire lo scopo della nuova strategia. Assumendo la difesa aperta dei valori patriottici, Togliatti mirava a trasformare il vecchio partito d' avanguardia, internazionalista, classista e tutto sommato elitario, in un partito di massa, capace di ricongiungersi alla specifica tradizione nazionale, recuperando le masse fasciste e immaginando alleanze sempre più ampie. Detto e fatto. Cinismo del «Migliore» o lungimiranza? Forse una miscela di entrambi, dove comunque l' ingegneria strategica liquida l' intransigenza. Forse per sempre.

FONTE:http://archiviostorico.corriere.it/2003/gennaio/03/nel_Togliatti_guardava_fratelli_camicia_co_0_0301031563.shtml?refresh_ce-cp

ESTRATTO DEL TESTO


La causa dei nostri mali e delle nostre miserie è nel fatto che l’Italia è dominata da un pugno di grandi capitalisti, parassiti del lavoro della Nazione, i quali non indietreggiano di fronte all’affamamento del popolo, pur di assicurarsi sempre più alti guadagni, e spingono il paese alla guerra, per estendere il campo delle loro speculazioni ed aumentare i loro profitti. Questo pugno di grandi capitalisti parassiti hanno fatto affari d’oro con la guerra abissina; ma adesso cacciano gli operai dalle fabbriche, vogliono far pagare al popolo italiano le spese della guerra e della colonizzazione, e minacciano di trascinarci in una guerra più grande. Solo la unione fraterna del popolo italiano, raggiunta attraverso alla riconciliazione tra fascisti e non fascisti, potrà abbattere la potenza dei pescicani nel nostro paese e potrà strappare le promesse che per molti anni sono state fatte alle masse popolari e che non sono state mantenute. (…) I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori [...]
FASCISTI DELLA VECCHIA GUARDIA! GIOVANI FASCISTI!
Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi. LAVORATORE FASCISTA, noi ti diamo la mano perché con te vogliamo costruire l’Italia del lavoro e della pace, e ti diamo la mano perché noi siamo, come te, figli del popolo, siamo tuoi fratelli, abbiamo gli stessi interessi e gli stessi nemici, ti diamo la mano perché l’ora che viviamo è grave, e se non ci uniamo subito saremo trascinati tutti nella rovina [...] ti diamo una mano perché vogliamo farla finita con la fame e con l’oppressione. È l’ora di prendere il manganello contro i capitalisti che ci hanno divisi, perché ci restituiscano quanto ci hanno tolto

FONTE:http://www.lintellettualedissidente.it/storia/compagni-e-camerati-lappello-di-togliatti-del-1936/

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