LE ARANCE DI ROSARNO: LA COCA COLA “SPREME” GLI AGRICOLTORI?

apr 16, 2012 0 comments
Rosarno, Calabria. Ancora una storia di illegalità e sfruttamento. Questa volta i protagonisti non sarebbero imprese senza scrupoli in odor di mafia, ma una multinazionale. “La” multinazionale per eccellenza, la Coca Cola. Arance acquistate a prezzi ridicoli per la produzione della nota bevanda a base di succo d’arancia, la Fanta: è quanto sarebbe emerso da un’inchiesta della rivista inglese The Ecologist, ripresa successivamente anche dall’Indipendent. Nulla di nuovo in realtà.
Già nel 2009 Rosarno era stata il centro delle rivolte degli immigrati impiegati nella raccolta degli agrumi, costretti a ritmi di lavoro ai limiti della schiavitù. Le rivolte provocarono la successiva reazione degli abitanti e una guerriglia tra poveri, in un territorio già devastato dalla criminalità organizzata e dal degrado ambientale e sociale, che diede luogo a linciaggi e caccia all’uomo, con un bilancio di decine di feriti. A due anni da quei drammatici fatti, complice la crisi dell’agricoltura, la situazione dei braccianti non sembra essere migliorata: si continua a parlare di salari da fame, di sfruttamento e di pessime condizioni di vita in ghetti privi di acqua ed elettricità.
Dopo lo scandalo, la Coca Cola, avrebbe inizialmente deciso di annullare i contratti con i coltivatori della zona. Dopo la mediazione del ministro delle Politiche Agricole Mario Catania, la marcia indietro: Coca Cola ritornerà ad acquistare le arance di Rosarno. E non è tutto. La multinazionale avrebbe anche promesso un incremento d’acquisto e contratti pluriennali per le aziende produttrici, all’insegna della sostenibilità. Sembrerebbe una favola a lieto fine, ma non è così.
Secondo Coldiretti infatti, per un’aranciata venduta sugli scaffali a 1,3 euro al litro agli agricoltori vengono riconosciuti solo 3 centesimi per le arance contenute. Un’inezia rispetto ai costi di produzione e di raccolta. Una situazione che colpisce non solo i produttori ma anche i lavoratori extracomunitari, poiché fomenta i fenomeni di illegalità e la conseguente chiusura delle industrie di trasformazione.
Sempre secondo Coldiretti, in base ad una legge nazionale ormai datata (Legge n. 286 del 1961) le bevande al gusto di agrumi possono essere colorate a condizione che esse contengano appena il 12% di succo di agrumi. Ogni punto percentuale di succo di arancia in più oltre il 12% corrisponde all’utilizzo di 25 milioni di chili in più di arance, pari a circa 560 ettari di agrumeto, mentre pagando le arance a 15 centesimi/chilo (il costo per la sola raccolta è di 6 centesimi/chilo), in un litro di aranciata ci sarebbero 6 centesimi di arance con la possibilità di remunerare adeguatamente il prodotto e il lavoro per ottenerlo.
Solo nella Piana di Gioia Tauro ci sono 11.500 imprese agricole che producono 440.000 tonnellate di arance su .8800 ettari coltivati, con un potenziale occupazionale di 792.000 giornate annue di lavoro. Coldiretti Calabria ha portato in piazza le sue ragioni in una manifestazione che ha visto la partecipazione di migliaia di agricoltori, lavoratori, cittadini e rappresentanti delle istituzioni locali, regionali e nazionali al grido di “no all’aranciata che spreme agricoltori, lavoratori e inganna i consumatori”.
È passato un mese ormai dalla mobilitazione. Cosa è cambiato? Nulla, secondo il presidente della Coldiretti Calabria, Pietro Molinaro, che in una nota precisa: “Nonostante incontri istituzionali ai vari livelli con le relative assicurazioni, la Coca-Cola Company continua ad essere assente e a non dare alcun cenno positivo sulla catena di sfruttamento che interessa l’intera filiera agrumicola da industria – incalza il presidente –. La situazione nella Piana continua ad essere drammatica, le arance marciscono, i produttori da tre anni soffrono le pene dell’inferno e non fanno reddito, la situazione dei lavoratori stagionali pone serie preoccupazioni”. Non solo. “Si sta per concludere la campagna agrumicola e, oltre al prezzo pagato ai produttori di 0,7 centesimi di euro, abbiamo potuto riscontrare – continua Molinaro nella nota – che la richiesta di succo concentrato è diminuita.
Il sospetto che si ingenera è che si potrebbe essere in presenza di una sottile ritorsione; altro che aumentare l’acquisto di succo dalla Calabria! L’ulteriore sospetto, poi, è che le multinazionali stiano effettuando una forma di cartello e su questo sarebbe utile ed importante che svolgesse le opportune indagini e approfondimenti l’Autorità per la concorrenza sui mercati”.
Ancora più dura, la posizione del responsabile dell’associazione Libera nella Piana di Gioia Tauro, don Pino De Masi: “Bisogna boicottare tutte le multinazionali che sfruttano le situazioni di emarginazione. Non mi meraviglio – ha aggiunto – che una multinazionale come la Coca Cola utilizzi le arance raccolte da lavoratori sfruttati per produrre i suoi prodotti. Queste grandi aziende pensano che tutto sia in perfetta regola ma in realtà dovrebbero sapere quanto accade nei nostri territori e le situazioni in cui lavorano queste persone”.
“Ora siamo agli sgoccioli – ha concluso don Pino nel suo comunicato – perché la campagna agrumicola volge al termine. Ma nei mesi scorsi ci siamo trovati nuovamente a dover fronteggiare una situazione di emergenza sia per quanto riguarda l’accoglienza che le condizioni in cui lavorano i braccianti stranieri. Dal prossimo anno servono delle soluzioni strutturali che consentano l’integrazione di queste persone, possibilmente spalmandole su più comuni della Piana di Gioia Tauro”.
Ma c’è anche chi pensa che la soluzione alla crisi non passa attraverso lo sfruttamento di chi è più debole ma, al contrario, dalla solidarietà e dalla cooperazione sociale. È il caso di SOS Rosarno, la campagna di solidarietà che Equo Sud, insieme all’Osservatorio Migranti Africalabria, ha avviato lo scorso inverno con le “arance etiche dalla piana”.
Attraverso la rete dei Gruppi di Acquisto Solidale, da un anno si sostiene una produzione etica che consente di sperimentare un diverso rapporto tra lavoratori immigrati e piccoli proprietari contadini. Le arance dei produttori di riferimento vengono tutte, rigorosamente, da agricoltura biologica certificata. Tutti i produttori sono piccoli proprietari, singoli o associati in cooperative, assumono regolarmente la manodopera impiegata nella raccolta, per oltre il 50% immigrata, e sono interni al circuito della solidarietà con gli africani di Rosarno.


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