Cameron ha difeso Goldman Sachs e non gli inglesi

dic 11, 2011 0 comments
 Di Mattia Bernardo Bagnoli
Ora l'Europa prenderà le decisioni «e noi non ci saremo» lamentano alla City di Londra dopo lo strappo al vertice europeo di questa notte. Munito di un proprio sindaco e di una propria polizia, il polmone finanziario di Londra è in realtà un'entità off-shore, dove per statuto il voto delle aziende che ne fanno parte (come Goldman Sachs, Bank of China e Barclays) conta più di quello dei cittadini. Perfino la Regina per entrarci deve aspettare di essere venuta a prendere ai confini fra la City e il resto di Londra.

LONDRA – Si fa presto a dire la City di Londra. Il distretto finanziario più potente del mondo, infatti, non è un quartiere come tanti, tipo Trastevere, Chelsea o Manhattan. No. Quando si attraversano i suoi confini, ben segnalati dal ring of steel, quella serie di “casematte” tirate su negli anni ’70 per tenere a bada i terroristi dell’Ira, si entra in un mondo a sé stante, governato da regole antichissime e arcane. E non è un modo di dire.
La City di Londra è infatti un’autorità municipale autonoma che affonda le radici nel sistema delle gilde medioevali. Praticamente uno Stato nello Stato: il Vaticano della finanza globale. Un regno quasi-segreto e misterioso governato da tempi immemorabili – almeno dal 1067 – dalla City of London Corporation. Un ente che gode di un potere molto concreto. La Corporazione - tra le varie cose - la sua polizia, le sue guardie d’onore e il suo Parlamento (la Gildhall), dove si riuniscono gli Sceriffi e gli Aldermen (letteralmente: gli uomini anziani). Ovvero le istituzioni che realmente comandano all’interno della City. Uno su tutti il Lord Mayor, il sindaco della City of London. Che non va confuso con il primo cittadino della capitale – attualmente Boris Johnson. È il campione della City of London Corporation e resta in carica per 12 mesi soltanto, come i consoli dell’antica Roma. Il suo ruolo, oltre che guidare la City nella sua accezione di autorità municipale, è quello di “ascoltare i business della City” e “consigliare” al governo in carica “cosa c’è bisogno di fare per aiutare i servizi finanziari a funzionare al meglio”. Il Lord Mayor – David Wootton, appena eletto – nelle visite all’estero (almeno tre mesi del suo mandato annuale) gode del rango di ministro e risiede nella Mansion House, di fronte alla Banca d’Inghilterra.



Ma non è tutto. La Corporazione può poi contare sulla figura del Remembrancer, il lobbista più longevo del pianeta (il suo ufficio è nato nel 1571). Il suo compito è quello di “salvaguardare gli interessi della City” e pur non essendo un deputato è ammesso a entrare nella Camera dei Comuni quando è in sessione. Un armamentario poderoso che, per i critici della Corporazione, incarna un oscuro e opaco potere che, visto il suo peso, riesce a influenzare la sfera politica. «Negli ultimi 30 anni il capitalismo “sregolato” ha catturato i regolatori», analizza lo scrittore ed editorialista del Guardian George Monbiot. E non è difficile capire il perché. La City, infatti, gode di una sorta di “semi-esenzione” dall’autorità parlamentare. In più, quando si tratta di eleggere le sue varie e antiche istituzioni, a contare sono più le aziende che le persone.
Qui viene il bello. Se i circa 10 mila residenti della City hanno un voto a testa, le società – come Goldman Sachs, Bank of China, Barclays – si spartiscono invece un pacchetto totale di 32 mila voti. E lo fanno attraverso un metodo luciferino. «I voti vengono distribuiti dal management in base alla composizione della forza lavoro delle aziende». Padre William Taylor è sulla quarantina, parla con il tono di chi è abituato ai sermoni e stretto nella sua sciarpa di lana grezza e nella giacca di velluto a coste grosse sembra un incrocio perfetto tra Hugh Grant e fra Tac, quello di Robin Hood. La gilda la conosce bene perché per cinque anni ne ha fatto parte come consigliere eletto in uno dei rioni più “poveri” della City. Un vero candidato del popolo, insomma. «La Corporazione – racconta – è depositaria di un antico spirito libertario, che nei secoli ha promosso i diritti dei cittadini e li ha protetti dall’arbitrarietà del potere reale». Non è un caso quindi se la Regina, ancora oggi, quando si reca in visita ufficiale alla Gildhall deve attendere che il Lord Mayor la venga a prendere ai confini della City. Esatto: la Regina aspetta. Un glorioso universo di valori che, sostiene Taylor, nei secoli si è ridotto a tutelare solo «i propri interessi economici».
«La Corporazione – spiega John Christensen, direttore di Tax Justice Network – è di fatto a capo di quella rete di paradisi fiscali che sulla carta figurano come territori alle dirette dipendenze della Corona, e quindi autonomi, ma che in realtà poggiano i piedi sulle sponde del Tamigi». Ecco perché gli indignati di St Paul hanno dato vita a un movimento – Reclaim The City – per chiedere che le istituzioni della City vengano elette solo dai residenti e non dalle società. E, dettaglio non da poco, per ottenere che vengano resi pubblici i dettagli di City Cash, il fondo sovrano della City di Londra. I suoi asset, accumulati negli ultimi “800 anni”, forniscono ogni anno alla Corporazione 100 milioni di sterline. «Per quanto ne sappiamo», dice Nicholas Saxon, autore del best-seller Treasure Islands, libro-inchiesta sui paradisi fiscali, «la City potrebbe contare su un patrimonio superiore a quello del Vaticano».
Allora non è un caso se Stuart Fraser, Policy Chairman della City of London Corporation, si è affrettato a “ringraziare” David Cameron «per il ripetuto sostegno del governo alla City e alla sua competitività internazionale». «È giusto ricordare – ha proseguito – che Londra è un centro leader a livello per i servizi finanziari e le attività economiche. è fondamentale mantenere un mercato unico dinamico che generi posti di lavoro e crescita in tutta Europa». Solo che anche alla City ora c’è chi teme di essersi spinti fin troppo in là con l’Unione Europea. «Il nuovo blocco – spiega una fonte vicina alla City of London Corporation – prenderà le decisioni che contano e noi non ci saremo. È una questione cruciale».

Da L'Inkiesta.it

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