Visto dal Portogallo: il totalitarismo dei consumi

gen 10, 2012 2 comments
Di Goffredo Adinolfi
C'è una cosa su cui il Portogallo è sicuramente molto avanti rispetto all'Italia: le liberalizzazioni. Qui questo annoso e antipatico problema degli orari dei negozi è stato risolto da tempo: la libertà di scelta dei negozianti è ampia e così i clienti non sono più vincolati da «assurde» leggi dal carattere vagamente bolscevico (come accade ad esempio in Germania, Svizzera o Belgio) che impediscono loro di acquistare quando meglio credono. Dalle 9 del mattino alla mezzanotte, dal lunedì alla domenica supermercati, libri, farmacie, tecnologie varie, vestititi eccetera: non resterete mai a secco.
Concomitante, o conseguente, a questo processo di liberalizzazione degli orari di vendita anche la liberalizzazione sostanziale delle licenze di costruzione. La Lisbona dei quartieri arabi come l'Alfama e la Mouraria, del Fado di Amalia Rodriguez e della Rivoluzione dei Capitani di aprile si è «finalmente» modernizzata. Nuovi panorami caratterizzano oggi la città, fra i quali certamente merita di essere citato l'avveniristico centro commerciale «Colombo» che, fino a pochi anni fa, era uno degli spazi di vendita più grandi d'Europa, facilmente raggiungibile con la metropolitana. Un luogo, o meglio un non luogo, fatto di strade, piazze, parchi e, non ci crederete mai, anche una piccola cappella. Si sa quando facciamo acquisti ci sentiamo sempre un po' in colpa, nel caso ci si confessa e via possiamo alleggerire oltre che il portafogli anche il nostro cuore.
Anche la meravigliosa Praça de Touros, a Campo Pequeno, è stata devastata dal centro commerciale: sotto il circo delle corride, potrete trovare para-farmacie, supermercati e, chiaro, fast food in abbondanza. Chissà, potrebbe essere un modo per finanziare i costosi restauri del Colosseo o per dare una nuova vita al Pantheon o a Campo dei Fiori, non vi pare?
Beh certo ogni processo di modernizzazione ha i suoi contraltari, ma si sa un prezzo va pure pagato per il progresso. Avere un negozio al centro commerciale è caro e se ne sei fuori nessuno ti conosce, difficile reggere sul mercato. Chi se lo può permettere? Così le grandi catene prendono il posto dei vecchi, slabbrati e polverosi negozietti: Zara, Massimo Dutti, Vobis, Calzedonia e Mediaworld tanto per citare a memoria. Processo di uniformizzazione? Forse, ma suvvia non facciamo i polemici, in fondo il fatto che ci si vesta tutti negli stessi negozi potrebbe avere anche qualche aspetto positivo: ricordate il tanto criticato modello sovietico?
A ben guardare c'è però un altro piccolo regalo che i processi di liberalizzazione di orari e licenze hanno portato: la desertificazione delle città e questo per due motivi. Innanzitutto, il piccolo commerciante i soldi per tenere aperto il suo negozio dalle 9 del mattino alla mezzanotte non li ha e quindi deve chiudere. In secondo luogo perché le catene si concentrano in pochi spazi, oltre ai centri commerciali ci sono le vie del centro, solo quelle più trafficate, chiaro! Così la rua Augusta, che porta alla maestosa praça do Comercio, quella della scena finale del film Sostiene Pereira, diventa uguale a tante vie del centro di altri luoghi sparsi un po' in tutto il mondo, ma questo è problema studiato. Lo aveva previsto Pasolini nel 1974 che una società ancora troppo contadina come quella portoghese male avrebbe resistito al «totalitarismo del capitalismo del consumo». Le implicazioni sono molto più pesanti di quanto ci si aspetterebbe, perché si finisce col perdere completamente i rapporti tra le persone e il loro quartiere, che diventa soltanto un triste, cadente e pericoloso dormitorio. Si perde il rapporto umano con il proprio farmacista, libraio, edicolante, perché dentro quei posti ci sono solo persone sfruttate che lavorano su turni e che probabilmente ruotano su più negozi della stessa catena e, visto che nella maggior parte dei casi sono precari, probabilmente li vedrete poche volte e poi spariranno. Insomma vivrete, e viviamo, in ambienti sempre più asettici dove saremo sempre meno conosciuti e riconosciuti: sempre più clienti e sempre meno cittadini.
C'è infine un ultimo «piccolo» problema che la questione della liberalizzazione degli orari dei negozi porta con sè: la assoluta scomposizione dei rapporti umani di chi vive nel commercio. Lavorare su turni che vanno dalle 9 del mattino alla mezzanotte 7 giorni su 7, 12 mesi all'anno significa fare fatica ad avere relazioni. I turni non li sceglie il lavoratore, ma il datore di lavoro, che da queste parti viene chiamato patrão, tanto per essere chiari su chi e su come si comanda. Se disgraziatamente anche tua moglie, marito, fidanzato lavora su turni, diventa difficile trovare un momento in cui incontrarsi, in cui andare al parco a passeggiare o andare in vacanza insieme. Non si cena più, non si pranza più, ci si incrocia e basta, ogni tanto, se tutto va bene. Una vita che ricorda molto da vicino quella descritta da Calvino nel suo racconto «l'avventura di due sposi» dove appunto i due sposi, che lavoravano uno di giorno e l'altro di notte, si incrociavano, di fretta, al bagno, quando uno finiva e l'altro iniziava la propria giornata.
Siamo sicuri che per potere comprare più «liberamente», cioè istigati da una pubblicità sempre più invasiva e penetrante, magari risparmiare qualche centesimo di euro, valga davvero la pena accettare quello che sembra essere sempre di più lo scenario descritto da George Orwell in 1984, dove ogni aspetto sociale veniva controllato dal grande fratello e ogni sentimento tassativamente proibito? Oppure una realtà simile a quella di Metropolis di Fritz Lang, dove, nella città sommersa, una sirena scandiva in due turni simmetrici da 12 ore la vita di uomini trasformati in automi, attaccati a macchine, privi di qualsiasi coscienza? Siamo sicuri che la completa deregolamentazione di tutto sia una questione di civiltà? Siamo sicuri che le liberalizzazioni portino posti di lavoro e non ulteriori fonti di sfruttamento di manovalanza a basso e bassissimo costo? 
Forse vale la pena tenerci il negozio sotto casa che chiude alle sette ma il cui gestore si ricorda di noi, ci tiene il giornale o il pane da parte e la domenica andarcene a fare una passeggiata, perché, vi assicuro, se il supermercato è aperto voi ci andrete a comprare!


Da il Manifesto

Commenti

  1. Ciao INFO e buon anno.
    INECCEPIBILE ARTICOLO.
    A cui io metto un ulteriore dubbio che potrebbe divenire una risorsa.
    E l'acquisto via internet?
    Costa meno, e sebbene in Italia sia poco utilizzato, sta crescendo. A quel punto potrebbero non servire nemmeno i centri commerciali (che stanno consumando suolo agricolo in Italia). A quel punto acquisto dove e quando voglio e senza nemmeno uscire di casa.
    Che scenario si può immaginare, ammesso e non concesso che avremo abbastanza energia per far girare i computer, per acquistare e far arrivare la merce "desiderata"?
    Ammesso e non concesso che magari prima di acquistare la merce "desiderata" sarà opportuno respirare (a meno che l'aria smetta di accettare i rifiuti del metabolismo fossile che continuamo a gettare), mangiare, bere, ripararsi? Liberalizzazioni di cosa? occorre sempre tenere conto che l'economia (eccessivamente governata dalla finanza elettronica) è solo un sottoinsieme del pianeta Terra, e se quello non ci regge, non regge nemmeno l'economia, le liberalizzazioni, i centri commerciali e l'ultimo Ipad.
    Questo si dovrebbe ripetere come un mantra ma i governanti europei sembrano sordi e ciechi.

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  2. Ciao Daniela,buon anno anche a te.Concordo praticamente con tutto ciò che dici nel commento.Stiamo andando sempre più verso una società tecnocratica che invece di portare benefici,libertà e benessere come dovrebbe essere secondo i propugnatori di essa,ci sta portando verso la totale meccanizzazione e il totalitarismo tecnoconsumista.

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