Il caos della Libia post Gheddafi: due governi, due parlamenti, 140 tribù, 230 milizie (oltre l'Isis)

feb 20, 2015 0 comments
Di Umberto De Giovannangeli
Due governi. Due parlamenti. Centoquaranta tribù. Duecentotrenta milizie armate. Oltre l’Isis. Esistono almeno “tre Libie” in uno “Stato fallito” dove a regnare è il caos. Politico e militare. Il futuro della Libia è nel suo passato. Se si vuole contrastare "l’ordine” del Califfato, occorre puntare sull’ordine tribale. E delle tribù più importanti, più radicate. Warfala, Zintan, Rojahan, Orfella, Riaina, al Farjane, al Zuwayya, Tuareg. Le stesse che nel 1911 affrontarono gli italiani durante la guerra di Libia. Sono loro il passato che non passa: le grandi tribù che hanno rotto quel "patto" che ha rappresentato uno dei pilastri fondamentali del quarantennale potere di Muammar Gheddafi.
Sono le tribù, oltre 140, alle quali appartiene l’85 per cento dei libici, a essersi sollevate in Libia, non i giovani intellettuali né le masse operaie, che nel Paese sono perlopiù composte da lavoratori stranieri. Sono loro che hanno assestato il colpo definitivo al regime del Colonnello. E con le grandi tribù la comunità internazionale dovrà fare i conti per contrastare l’avanzata jihadista ed evitare che il Paese nordafricano si trasformi in una “nuova Somalia” a trecento chilometri dalle coste italiane.
"La tribù (qabila) è l’unica istituzione che da secoli ha plasmato, difeso e regolato la società delle popolazioni arabe (e in minima parte berbere) che hanno abitato le regioni chiamate all’inizio del Ventesimo secolo dai colonizzatori italiani Tripolitania, Cirenaica e Fezzan", rimarca su Limes Aldo Nicosia. "L’affermazione del sistema politico tribale, - prosegue Nicosia - fortemente voluto e sostenuto dal regime di Gheddafi proprio per impedire la nascita di una società civile, basata su istituzioni pluralistiche e democratiche (cui contrappone la banale demagogia dello slogan del “potere alla masse”), comincia a provocare il ripiegamento del libico verso la tribù di appartenenza, e parallelamente fa sprofondare il Paese nella corruzione, a tutti i livelli".
D’altro canto gli uomini del Califfo hanno saputo approfittare della frattura creata dalla guerra civile che vedeva contrapporsi, l’un contro l’altro armati, da una parte i Fratelli musulmani, gli islamisti e le milizie di Misurata e dall’altra i “laici” del governo “legittimo” di Tobruk del premier al Thinni, le milizie di Zintan e l’armata di Khalifa al Haftar.
A Tripoli e Misurata agiscono le milizie islamiche del governo guidato da Fajr Libia legate ai Fratelli Musulmani, dunque ostili all'Egitto ma anche in competizione diretta con le milizie dell'Isis.
Nell'ovest del Paese l'esercito del governo di Tobruk e le milizie islamiste Fajr continuano a combattersi, coinvolgendo fra l'altro l'aeroporto di Zintan, bombardato da aerei delle milizie islamiche. Queste stesse milizie starebbero assediando Sirte, la città conquistata di recente dallo Stato islamico, per liberarla dai jihadisti che a quanto pare si starebbero ritirando dalla città. A Derna e Bengasi c'è invece l'Emirato legato allo Stato Islamico sottoposto ai bombardamenti egiziani.
Nel Fezzan e nel sud della Libia c'è invece una sorta di terra di nessuno in cui ogni tribù gioca in proprio, cambiando o rompendo alleanze con ognuno dei tre soggetti in competizione ma soprattutto raggranellando intanto soldi per assicurare la protezione dei campi petroliferi delle varie multinazionali (Eni e Total soprattutto) o assicurando i “diritti di passaggio” al traffico degli esseri umani proveniente dai paesi africani.
Dentro questo arcipelago ci sono anche gruppi di guerriglieri legati all'esperienza di Gheddafi che cercano l'occasione di vendicare il loro leader e di pareggiare i conti sia con le milizie islamiche che con le potenze occidentali che hanno bombardato e destabilizzato la Libia nel 2011 e lasciato ammazzare Gheddafi.
Ancora più nel profondo dello “Stato fallito”: le milizie più rilevanti sono almeno 5: Zintan, Misurata, Lybian Shield, la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio e la milizia/Esercito del Generale Haftar. Il Consiglio Militare di Zintan, dal nome della città, appunto, dove è basato, conta circa 4.000/5.000 uomini armati di tutto punto - armi leggere, sistemi di supporto del fuoco ed armi pesanti. Quanto alla milizia di Misurata (appoggiata da elementi del Lybian Shield), si tratta di un altro degli attori forti di questa crisi. Di tendenze islamiste, la milizia conta qualche migliaio di uomini e da tempo ha ormai imposto un regime di sostanziale autonomia alla città costiera di Misurata dalla quale prende il nome.
C’è poi il Lybian Shield, che in realtà rappresenta un’organizzazione ombrello che raccoglie numerose milizie, legate anche all’universo islamista e salafita, basate su unità strutturate territorialmente che operano per il mantenimento dell’ordine pubblico e hanno ruoli di combattimento. Il Lybian Shield, difatti, è importante beneficiario dei finanziamenti del Ministero della Difesa. Come si diceva la milizia raccoglie anche realtà islamiste radicali ed è tendenzialmente considerata vicina alla Fratellanza Musulmana.
In Cirenaica, è attiva la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio che conta qualche migliaio di uomini e possiede un importante arsenale grazie al controllo di numerose caserme situate in tutta la regione appartenenti in passato al regime di Gheddafi. La Brigata è di tendenze islamiste.
Sempre la Cirenaica è la roccaforte della milizia del generale Haftar. Quest'ultimo, membro della tribù Firjan, nasce come uno degli uomini che aiutarono Gheddafi ad impadronirsi del potere. Dopo aver giocato un ruolo chiave nella Guerra in Ciad negli anni 80, il suo rapporto col Raìs si deteriorò irrimediabilmente, tanto da dover fuggire negli Stati Uniti (pare con l’aiuto della Cia), dove rimase quasi 20 anni prima di rientrare in Libia, nel 2011, come uno dei leader delle forze ribelli.
La milizia di Haftar, composta, verosimilmente, da circa 35.000 unità, si basa prevalentemente su ex membri dell'Esercito gheddafiano reintegrati in quello che avrebbe dovuto essere il nuovo apparato di sicurezza libico, ma caratterizzati da una profonda avversione per i nuovi commilitoni provenienti dalle milizie rivoluzionarie. Il generale oggi è leader di una coalizione di tendenze nazionaliste, che mette assieme alcune tribù e pezzi di ciò che resta delle istituzioni libiche, che si oppone alle milizie radicali e vicine alla Fratellanza Musulmana e che è alleata con la milizia di Zintan. Ecco allora che la cronaca di guerra si sostituisce a quella, sempre più agonizzante, diplomatica. Gli islamisti che controllano Tripoli e la regione occidentale libica hanno decretato il fallimento preventivo di nuovi negoziati di riconciliazione nazionale sotto egida Onu. Il premier del governo di Tripoli, Omar al Hasi, ritiene che "non si possa più proseguire con il dialogo nazionale sponsorizzato dall’Onu (per opera dell’inviato speciale Bernardino Leon)" dopo i recenti raid aerei egiziani sulla Libia, seppur contro Isis.
Si tratta dell’ultimo episodio della guerra per procura che vede il cosiddetto governo ombra di Tripoli, sostenuto da Qatar e Turchia, scontrarsi con quello “laico” di Abdullah al Thani, (riconosciuto dalla comunità internazionale) a Beida, sostenuto da Egitto (in primis tramite il generale Khalifa Haftar) ed Emirati Arabi Uniti. Al Hasi ha anche accusato i gruppi di ex gheddafiani di essere dietro la nascita dello Stato islamico a Sirte. Citato dal quotidiano egiziano al Mesrioon, al Hasi ha affermato che "i gruppi armati che abbiamo visto non sono altro che elementi legati al defunto colonnello Muhammar Gheddafi, ai suoi servizi segreti e a quelli di Paesi vicini".
E allora, vale la pena, ricapitolare in cosa consista il caos libico. Ecco una breve sintesi: ci sono il governo presieduto da Abdullah al Thani con il generale Khalifa Haftar, c’è l’Isis casa madre, le milizie islamiche, Fajr, e i mujaheddin filo-Isis, la Brigata Battar, gli Islamici di Ansar al Sharia e gli uomini del Consiglio rivoluzionario, c’è Ali Qiem Al Garga’i e due emissari di Al Baghdadi, i Fratelli musulmani di Al Sahib, gli ex membri del Gruppo combattente libico pro al Qaeda, una formazione più estrema della Fratellanza, c’è Omar al Hassi sponsorizzato dalla Turchia, i mujaheddin del Wilayat Trabulus, le milizie di Zintan e una massa di altre 200 organizzazioni oltre le 140 tribù.
Il 19 novembre scorso, Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso di iscrivere due gruppi terroristici libici, Ansar al-Charia Benghazi e Ansar al-Charia Derna, nella lista nera delle organizzazioni terroristiche legate ad al-Qaeda. I gruppi sono infatti entrambi in collegamento con l’analogo Ansar al-Charia Tunisia e col terrorismo internazionale, e in modo particolare lo sono ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi).Il gruppo di Bengasi, con alla testa Mohamed al-Zahawi, si è costituito nel febbraio 2012 nella città della Cirenaica ed è accusato di essere responsabile dell’attacco al Consolato Usa, durante il quale rimase vittima l’ambasciatore americano J. Christopher Stevens. Inoltre organizza campi di addestramento per combattenti stranieri da mandare in Siria, Iraq ed anche in Mali.
Ansar al-Charia Derna, in contatto con Bengasi, ha le sue basi nella città costiera della Libia orientale e nel Djebel Akhdar. È guidato da Sofiane Ben Goumo, un veterano dell’Afghanistan, e ha partecipato all’attentato di Bengasi e ad altri attacchi contro le forze di sicurezza libiche. È anch’esso accusato di addestrare stranieri da inviare in Siria ed Iraq. Ansar al-Charia Derna ha fatto sottomissione in ottobre allo Stato Islamico, proiettandolo così sulle rive del Mediterraneo.
Altra figura chiave del fronte islamista è Abdul Hakim Belhaj: ex esponente di al-Qaeda, Belhaj rimane il maggiore collettore degli aiuti finanziari e militari provenienti dal Qatar. "Chiediamo alla comunità internazionale di assumersi le sue responsabilità legali e morali e di armare l’esercito libico, senza ulteriori ritardi, affinché possa adempiere alla sua missione nazionale", afferma Ashour Bou Rached, rappresentante libico presso la Lega Araba. "In Libia – aggiunge - più viene ritardata la vittoria militare contro milizie brutali e più aumenta la loro espansione, riducendo le chance di una soluzione politica alla crisi". Una soluzione lontana dal manifestarsi. Il caos libico è sempre più armato. E inestricabile.

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