La Merkavà, il "cocchio celeste" della Cabala

dic 8, 2015 0 comments


Innanzitutto il “maasè merkavà”, l’opera del cocchio celeste,  è una importante componente del realizzarsi delle profezie di Isaia, sulla via verso la pace universale,  là dove dice “forgeranno le loro spade in vomeri”. Infatti solitamente il cocchio è uno strumento di guerra, un carro di battaglia, molto temibile sul campo.
La merkavà spiegata dalla Cabalà è invece un veicolo adatto a trasportare la persona fino a degli stati di percezione mistica, a delle vere e proprie visioni di potente effetto trasformatore sulla personalità e sul carattere.








 Durante e dopo quelle esperienze, se sono vere, si diventa più sereni, pacifici, la personalità si arricchisce e si amplia. Ci si apre alla mitezza di un amore sempre più altruista, sempre più stabile, capace di estendersi oltre ogni confine precedente. La conoscenza ne esce rinnovata, non più dipendente da eccessi di razionalità, ma capace di utilizzare gli strumenti dell’intuizione e dell’immaginazione.
Cos’è questo cocchio in pratica?
E’ una serie di situazioni e circostanze, scelte, costruite e sviluppate appositamente. Centrale in tutte, è l’adesione alla Parola di D-o, è il penetrarne i recessi e i segreti nascosti. E’ il farla propria, è il sentirla in ogni cellula del proprio corpo. Senza un confronto diretto, senza lo studio approfondito e meditativo delle Sacre Scritture, non c’è viaggio mistico.
A grandi linee, esiste un cocchio “monoposto”, un viaggio che si compie da soli: meditazione, studio, preghiera, pratiche ascetiche. A ciò si può unire l’attivazione dei cosiddetti “sensi spirituali”. Nel viaggio, i piaceri sensoriali di sempre diventano anche e soprattutto fonte di godimenti dell’anima e contribuiscono alla propulsione del cocchio celeste.
Poi c’è un cocchio di coppia, “biposto”, uomo-donna. Ad esempio, l’intero Cantico dei Cantici è una descrizione di situazioni che costituiscono il cocchio di coppia. È una relazione uomo-donna capace di avvicinare entrambi al Divino. Il dialogo d’amore e di conoscenza ne diventa il motore propulsore. Il Cantico è ancora di più di ciò, e contiene istruzioni su altri tipi di cocchio, il più importante dei quali sarà quello “collettivo”, l’incomparabile innalzamento di coscienza che non una o due persone sole, ma l’umanità intera esperimenterà, al rivelarsi dell’identità messianica.
Perchè c’è bisogno di una merkavà? La vita intera è una ricerca di piaceri e di soddisfazioni, di momenti nei quali la felicità spezza la monotonia ed irrompe nell’individuo, dandogli la sensazione di avere trovato quello che cercava. Sappiamo però tutti quanto fasulli e parziali possano essere la massima parte dei piaceri ai quali normalmente si arriva. Ci vuole molto di più.
L’intera storia della Sacra Scrittura è costellata da momenti speciali, nei quali gli interpreti vengono sconvolti da rivelazioni, toccati da esperienze strane, diverse, mistiche, da straordinarie visioni. A volte non si tratta di esperienze piacevoli, ma poco importa, se riescono a scardinare il passato limitato e soffocante dell’individuo e a portarlo oltre, a mostrargli la Via verso la trasformazione, verso la Divinizzazione del suo essere.
Il cocchio celeste, la merkavà, è tutto quanto possa portarci a ricevere quelle rivelazioni, a toccare con mano diretta quei piaceri superiori, gli unici capaci di soddisfare la sete del profondo, presente in tutti coloro che davvero cercano il senso della vita, che non vogliono sprecarla in una serie di inutili ripetizioni di errori già fatti, senza nemmeno riconoscerli come tali. Tutto quanto una persona possa ottenere nel mondo: successo, denaro, stima, amore, famiglia, piaceri e divertimenti, rimane “poco”, cioè aleatorio e insoddisfacente, senza la visione di ciò che gli sta oltre, senza un suo innalzamento alle radici celesti dell’esistenza, senza l’assaggio di quanto buono sia D-o.
“assaggiate e guardate quanto buono sia il Signore” (Salmo 34, 9)
Senza un consistente anticipo della radice Divina dei beni terreni, questi rimangono infidi, evanescenti, incompleti, incapaci di soddisfare e trasformare le persone che li cercano e che li colgono.
La merkavà è l’insegnamento del come ascendere ed arrivare ad
“assaggiare e vedere la bontà di D-o”.
Ci sono diversi tipi di cocchio celeste e ci sono diversi tragitti e viaggi possibili. Qui accenneremo solo a tre cocchi principali, spiegati ed insegnati da tre grandi profeti: Isaia, Ezechiele e Zaccaria. Nel linguaggio della Cabalà, queste tre merkavà appartengono rispettivamente al mondo di Brià(Creazione), Yetzirà (Formazione) ed Assià (Azione).
Isaia è indubbiamente il più grande dei profeti, quello che riesce a dare la visione più ricca e dettagliata del futuro evento messianico. Il cocchio di Isaia è la sua incredibile esperienza mistica, descritta al capitolo 6. Vede il trono di D-o e i Serafini al di sopra, che cantano:
“Qadosh, qadosh qadosh Adonai Tzevaot”, “Santo, santo santo il Signore delle Schiere”.
Questo è il cocchio dei Serafini, angeli misteriosi, che solo Isaia menziona in tutta la Bibbia (leggi questo articolo sui Serafini). La loro essenza sta nel potersi muovere attraverso ogni piano della creazione, dal più basso al più alto, e viceversa. Metaforicamente, averli come propulsori del cocchio, è lo stato più augurabile possibile. La potenza da loro sprigionata è straordinaria. La creazione si apre non solo per mostrare tutti i suoi segreti, ma a concedersi come “sposa mistica” al coraggioso viaggiatore.
Ezechiele al cap. 1 del suo libro descrive una visione celeste che è rimasta classica in tutti gli insegnamenti sulla merkavà. Essa è centrata intorno alle Chaiot, angeli di dimensioni cosmiche, l’essenza stessa della vitalità dell’universo, ma tuttavia non così mobili come i Serafini, che sono capaci di vette e profondità ancora maggiori. Nel cocchio di Ezechiele si tiene anche conto delle fasi iniziali, che riguardano ancora i problematici stati d’animo che incontriamo nel vivere terreno (vento di tempesta, nube spessa, fuoco divorante). Chi merita di salire sul cocchio di Ezechiele arriva a contemplare i diagrammi e gli schemi archetipi che sottendono ogni realtà creata (blueprint of creation).
Zaccaria (cap. 6) parla esplicitamente di quattro cocchi che fuoriescono da due monti di rame. Ogni cocchio è trainato da cavalli di diverso colore: rossi, neri, bianchi e “berudim amutzim”. Il cocchio di Zaccaria si muove nel mondo dell’Azione, è il più vicino alla normalità del quotidiano. Si parte dal rosso, da Ghevurà, da Edom, dal mondo del confronto duro e spietato, dove non si teme il sangue, proprio o degli altri. Tutto è possibile per ottenere lo scopo. È sicuramente eccitante ed avventuroso, ma snervante e limitato. Questo tipo di “viaggio” porta inevitabilmente ai cavalli neri: il buio, un silenzio non meditativo, bensì depresso e rancoroso, il mutismo di chi, anche se gridasse, non direbbe in realtà proprio nulla. È un viaggio anche questo, nelle profondità dell’abisso. Uno dei nomi dell’abisso è Sheol, che significa “domanda ossessiva” (leggi questo articolo su Shaul, che descrive bene i primi due livelli, il rosso e il nero). Ed è proprio là, alla fine di questa fase, che si scoprono i cavalli bianchi. Essi trainano un cocchio purificato, libero da passioni e gelosie, da rivalità ed odi. È il cocchio dell’innocenza, del ritorno alla luce. Ma non è ancora il meglio, che arriva con dei misteriosi cavalli “berudim amutzim”, “chiazzati e coraggiosi”. Sono due termini di difficile traduzione. Berudim indica vari colori insieme. È quindi il cocchio della sintesi, dove tutte la fasi precedenti si riconciliano in un’unica mistura sapiente. È un riuscire a vivere nel mondo e per il mondo ma senza essere del mondo. È un andare oltre i clan, oltre le separazioni naturali o artificiali, imposte dalla ristrettezza delle consapevolezze non realizzate. Ma per riuscire in ciò bisogna essere “amutzim”, coraggiosi. Il grande coraggio non è tanto dell’andare veloce in moto o in auto, o nel rischiare le gambe su due esili sci, oppure nell’ebbrezza del gioco in borsa, o in tante altre attività e divertimenti umani. Il grande coraggio sta nel scegliere di non rimanere delle semplici “gocce sul fondo di un secchio” (Isaia 40, 15) e neppure “polvere sui piatti di una bilancia”. Basta con la vita insignificante, con la banalità, l’insipienza e la mediocrità, siano esse proletarie o borghesi! Il vero coraggio è lasciarsi indietro il passato, è l’esplorazione delle Vie dello Spirito, è la forza di cambiare davanti a se stessi e davanti agli altri, sfidando giudizi, critiche, pettegolezzi.
La merkavà è per i coraggiosi, per gli originali e i creativi, per chi vede oltre le apparenze vuote ed ingannevoli. Buon viaggio a quanti, sebbene ancora pochi, si avventureranno in esso.
Qui troverete degli appunti riguardanti corsi precedenti svolti su questo argomento.


Commenti

Related Posts

{{posts[0].title}}

{{posts[0].date}} {{posts[0].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[1].title}}

{{posts[1].date}} {{posts[1].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[2].title}}

{{posts[2].date}} {{posts[2].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[3].title}}

{{posts[3].date}} {{posts[3].commentsNum}} {{messages_comments}}

Search

tags

Modulo di contatto