L’Isis cerca reclutatori nei Balcani: “Devono conoscere l’italiano”

gen 13, 2016 0 comments


I requisiti richiesti sono due, «un’ottima conoscenza della lingua italiana» e «buone capacità informatiche». I soldi offerti tanti, soprattutto per gli standard locali: «circa 2 mila euro al mese». Ad allarmare l’intelligence italiana è un ultimo inquietante report su una rete di fiancheggiatori dell’Isis che sta arruolando nuovi «reclutatori». L’obiettivo è infiltrare ambienti islamici italiani, e farlo attraverso insospettabili di nazionalità albanese. 

Lo dicono i dossier dei servizi segreti, lo confermano le inchieste: l’Albania è un problema enorme per l’Italia (e di conseguenza per l’Europa), il nuovo fronte di lotta al terrorismo islamico. A raccontarlo sono due inchieste parallele, che partono dalla rete di contatti che ha aiutato Giuliano Delnevo, il giovane italiano convertito ucciso ad Aleppo nel 2013, a raggiungere la Siria e arrivano a un imprenditore italiano sospettato di trafficare varie sostanze, fra cui un derivato del mercurio, diretto in Siria e destinato a fini bellici. In mezzo ci sono i destini di due vicini di casa opprimenti per Tirana, il Kosovo, che secondo l’ultimo rapporto delle forze Kfor della Nato ospita 900 foreign fighters, e la Grecia, che, falcidiata da una crisi economica e politica che l’ha quasi spinta fuori dalla Ue, non è più in grado (o non ha la volontà) di controllare tutto ciò che passa attraverso i suoi confini. 

L’opinione pubblica mondiale non conosceva ancora l’Isis quando Giuliano Ibrahim Delnevo trovò la morte in Siria. Giuliano, giovane genovese convertito, disoccupato e frustrato, nella sua testa sognava di lottare contro un dittatore che opprimeva il suo popolo. La milizia in cui andò a combattere, hanno poi dimostrato le indagini, era la Brigata internazionale Muhajiriin, una formazione guidata dall’«emiro rosso» Abu Omar Al Shishani, diventato uno dei massimi leader militari di Daesh in Siria. Chi aiutò lo studente genovese a entrare nelle fila di quella frangia di combattenti di fede musulmana radicale? Secondo la procura di Genova, che poco più di un mese fa ha trasferito il fascicolo ai colleghi delle Marche, una rete di reclutatori che fa base ad Ancona, scalo strategico per gli scambi con i Balcani e ideale per affari poco puliti perché fuori dalle rotte principali. 

È qui che inizia la seconda parte della storia. Gli accertamenti in questo caso partono da un imprenditore italiano, che finisce nel mirino delle Fiamme Gialle per i suoi frequenti viaggi in Albania. Ad attirare le attenzioni su di lui è un traffico internazionale di sostanze tossiche, fra cui ci sono componenti che, per gli inquirenti, potrebbero essere utilizzati per la costruzione di razzi artigianali, destinazione finale, ancora una volta, la Siria. La porta d’accesso è il confine greco, un colabrodo attraverso cui passano facilmente uomini e merci. In questo crocevia si inserisce una rete di attivisti e predicatori islamici radicali, molti dei quali albanesi arrivati dal vicino Kosovo. Cercano gente che parli bene l’italiano e l’Albania ne è piena. E questo elemento spiega perché l’allerta sui rischi in arrivo dai Balcani non è mai stata così alta. 


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