La burocrazia si mangia 230 miliardi dei nostri soldi

mar 19, 2016 0 comments
Di Stefano Filippi
Gira e rigira, la priorità rimane la stessa: «Ridurre il carico fiscale su imprese e famiglie».
È questa la scommessa che Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, chiede al governo di fare. E ci sono due richieste precise, non generiche: evitare l'aumento dell'Iva nel 2017 e destinare alla riduzione dell'Irpef tutti i tagli agli sprechi e il recupero dell'evasione. «Meno tasse e meno spesa pubblica è la ricetta per un Paese più dinamico ed equo».Sangalli parla al Forumannuale della sua confederazione di Cernobbio. È la voce dei commercianti, una categoria tra le più colpite dalla crisi con il calo dei consumi e che si barcamena ancora tra luci e ombre. La situazione internazionale è favorevole: prezzi bassi delle materie prime, tassi al minimo, rapporti di cambio che dovrebbero incentivare investimenti ed esportazioni.
Eppure l'economia italiana continua a ristagnare, nonostante i proclami del governo Renzi. L'Europa cresce, noi ci esaltiamo per uno 0,8. «Nel contesto internazionale positivo e con la politica fiscale distensiva, francamente l'1 per cento di crescita era il minimo che si potesse raggiungere», sintetizza Mariano Bella, direttore dell'ufficio studi di Confcommercio. C'è un gigantesco problema Italia che nemmeno questo governo sembra affrontare con decisione nonostante qualche timido passettino: «Riforma della pubblica amministrazione, impegno di ridurre i carichi burocratici sulle imprese, alcune misure del Jobs Act, riforma della scuola, niente inasprimenti fiscali», elenca Sangalli. Ma la verità è che senza «il cortisone di Draghi», cioè il denaro a costo zero che ha consentito consistenti risparmi sugli interessi del debito pubblico, saremmo al collasso. E nemmeno le pozioni della Bce sono sufficienti: «Abbiamo bisogno di terapie specifiche che dipendono solo da noi».
Le zavorre individuate da Confcommercio sono quattro: il deficit di infrastrutture che ostacolano gli investimenti stranieri, l'eccesso di burocrazia (perdite di tempo negli uffici pubblici e ritardi della giustizia civile), l'aumento dell'illegalità verso imprese e famiglie, il sistema scolastico inadeguato nella formazione. Basterebbe poco per ottenere molto: con una serie di riforme che garantiscano di ridurre burocrazia e illegalità del 5 per cento e di aumentare analogamente infrastrutture e capitale umano si otterrebbero 3,2 punti di Pil per 45,3 miliardi di euro. Ma l'ufficio studi di Bella ha sfornato dati ancora più sorprendenti: se ogni regione raggiungesse le performance migliori (la burocrazia valdostana, i tassi di criminalità del Trentino Alto Adige, le infrastrutture piemontesi e il sistema scolastico lombardo), l'Italia si ritroverebbe quasi per miracolo un incremento del prodotto lordo del 16,1 per cento con un'esplosione del Pil di 231 miliardi.È un libro dei sogni con la misura dei miglioramenti alla portata del Paese che dipendono soltanto da noi, dal governo e dalle riforme che saprà fare. Ma non è un'Italia così irrealistica, perché in talune regioni, le più virtuose, è già nei fatti. E sono tutte regioni settentrionali.
Ecco l'altro drammatico fenomeno segnalato da Confcommercio: le differenze tra Nord e Sud continuano ad approfondirsi. Dice Sangalli: «Il Mezzogiorno continua a perdere peso in termini di abitanti, lavoratori e reddito e registra un ridimensionamento dei fattori di produzione. Al Sud il problema della burocrazia pesa il doppio che al Nord-ovest e i reati sulle imprese sono quasi il doppio rispetto al Nord-est». I commercianti sono moderatamente ottimisti sul 2016 e prevedono un +1,6 per cento del Pil nonostante che «eccessi e deficit strutturali del nostro Paese costino a ciascun cittadino 3.800 euro l'anno». La fotografia di un Paese «frenato» e spaccato a metà.

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