IL POTERE DELLE LOBBY SULL'UE

gen 16, 2017 0 comments
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Di Michele Crudelini
Complottismo. In questo modo si è soliti bollare argomentazioni circa il potere delle “lobby” industriali e finanziarie su organi politici. Un’informazione spesso priva di fonti attendibili ha in effetti delegittimato l’argomento, eppure una ricerca puntuale sembra ribadire l’esistenza di una finestra di dialogo tra specifici colossi economici e organi politici, che per mandato dovrebbero invece fare gli interessi dei cittadini.
Sembrerebbe questo essere il caso della Commissione europea, uno degli organi più importanti dell’Unione perché suo braccio esecutivo. Tale istituzione che dovrebbe essere garante del processo legislativo nell’interesse dei cittadini dei 28 Paesi dell’Unione, pare essere in realtà snodo di lobby e porte scorrevoli. Solo lo scorso luglio 2016 Manuel Barroso, ex Presidente della Commissione europeaè finito sotto l’inchiesta dell’Europarlamento per aver accettato l’incarico di Presidente non esecutivo della Banca d’affari americana Goldman Sachs International. Tale incarico risulterebbe infatti essere in contrasto con l’articolo 245 del Trattato di Lisbona, che così recita: “Mi impegno solennemente ad esercitare le mie funzioni in piena indipendenza, nell’interesse generale dell’Unione; a non sollecitare né accettare, nell’adempimento dei miei doveri, istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo; ad astenermi da ogni atto incompatibile con il carattere delle mie funzioni o l’esecuzione dei miei compiti”.
Tenendo conto che Goldman Sachs è stata riconosciuta colpevole dalla Securities and Exchange Commission, organo di controllo dei mercati statunitensi, per la vendita allo scoperto di derivati durante la crisi dei sub-prime 2008, possiamo dire che la stessa Banca abbia più o meno direttamente contribuito alla crisi finanziaria anche europea. Gli interessi dell’Unione e di Goldman Sachs appaiono così inconciliabili. Per questo gli eurodeputati hanno ora chiesto che il Mediatore europeo, Emily O’Reilly, prosegua le indagini su Barroso e sul meccanismo delle “porte scorrevoli” degli organi dell’Unione. Lo stesso meccanismo che ha portato Mario Draghi da Managing Director, sempre di Goldman Sachs, a Presidente della Banca Centrale europea.
Dal 2015 ad oggi sono 278 le indagini avviate dall’Europarlamento sulla questione della trasparenza degli incarichi all’interno della Commissione europea, segno che il problema non può essere bollato come semplice “tesi complottista”.
Lo stesso attuale Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, a inizio novembre aveva dichiarato la necessità di “cambiare codice etico” e rendere dunque più chiaro e applicabile quell’articolo 245 del Trattato di Lisbona. Dalle porte scorrevoli al lobbyng la strada è breve. In un rapporto del luglio 2015 l’ONG Transparency International, che si occupa di corruzione e trasparenza, dichiarava che Bruxelles, dopo Washington, è la città con il più alto numero di lobbisti. Sempre secondo lo stesso rapporto il numero dei lobbisti che dialogano con l’Unione oscillerebbe tra i 15mila e i 30mila, vale a dire 2,6 per ciascun funzionario europeo. Nella lista di chi spende di più per l’attività di lobbyng in Europa risultano essere Exxon Mobile, Shell, Microsoft e Deutsche Bank. Ognuna di queste spende una cifra attorno ai 4 milioni di euro annui.La rivista Internazionale, nel luglio 2015, poneva a riguardo un’obiezione legittima: le imprese non sono obbligate a firmare la loro presenza nel registro europeo della trasparenza. Così i dati che ci giungono potrebbero avere delle stime al ribasso. Internazionale, per esempio, metteva in luce che 14 dei 20 studi legali più grandi al mondo, con sede a Bruxelles, non fanno parte di questo registro, ma casualmente sono registrati come lobby organizations a Washington (dove la registrazione è invece obbligatoria per legge).
Si tratta ora di capire quale sia l’effettiva influenza che l’attività lobbistica ha nei confronti delle decisioni europee. Sempre il rapporto di Transparency International riferisce che tra il dicembre 2014 e il giugno 2015 la Commissione europea ha avuto 4.318 incontri con esterni. Il 75% di questi ha coinvolto aziende e multinazionali varie, mentre solo il restante 25% è stato riservato alla società civile (ONG e autorità locali). Sappiamo poi che in quello stesso periodo la Commissione stava lavorando sulla stesura del TTIP, il Transatlantic Trade and Investment Partnership. Il trattato che vorrebbe l’integrazione del mercato europeo e quello americano, con l’abbattimento di dazi e barriere non tariffarie (come gli standard fito-sanitari). Se dunque gli incontri per la stesura del TTIP hanno coinvolto più le aziende che i cittadini c’è il rischio che il trattato possa non rappresentare gli interessi di questi ultimi.
Il problema legato al lobbyng ha colpito anche nel 2016. Lo scorso aprile il mediatore Emily O’Reilly ha organizzato una conferenza sul “migliorare la trasparenza dell’attività di lobbyng dell’industria del tabacco in Commissione europea”. Anche in questo caso un’indagine dell’Europarlamento aveva messo alla luce i frequenti contatti e incontri tra membri della Commissione europea e rappresentanti dell’industria del tabacco, in uno dei casi fu la Philip Morris ad essere accusata. Il commento eloquente alla vicenda di Olivier Hoedeman, membro della Corporate Europe Observatory, fu: “Come i cittadini possono aver fiducia nella Commissione e nella sua abilità di proteggere gli interessi pubblici contro queste indebite influenze?”. Sarà compito di Juncker dare risposta a ciò nel corso del suo mandato.

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