Il New York Times e il caso Hunter Biden: quando i giornali si autocensurano

mar 22, 2022 0 comments


Di Salvatore Maria Righi

Nel disco rigido di un laptop abbandonato tra gli scaffali di un centro assistenza del Delaware c’era, forse, la notizia che avrebbe potuto cambiare le elezioni americane del 2020 e la corsa alla Casa Bianca. Se gli americani e, in particolare, gli elettori di Joe Biden avessero conosciuto il contenuto delle email conservate in quella memoria, avrebbero potuto cambiare idea sul proprio voto e quindi sul risultato elettorale che ha detronizzato Donald Trump. Questo, almeno, è quello che si evince dal pezzo che il New York Times ha pubblicato nei giorni scorsi, con 17 mesi di ritardo sulla vicenda. Un colpevole e ingiustificato ritardo, per una testata del prestigio e dell’influenza del NYT, che lascia appunto molti dubbi e perplessità sul modus operandi della blasonata redazione americana: l’8% degli elettori dem, secondo un sondaggio, ha dichiarato che non avrebbe votato Biden, se avesse avuto queste notizie per tempo.

Ma cosa ha tenuto nei cassetti il NYT tutto questo tempo, tanto da rafforzare una volta di più le critiche per essersi schierato a suo tempo a favore di Biden nella competizione contro Trump? Una serie di email che riguardano Hunter Biden e più in generale tutta la famiglia. Messaggi di posta elettronica saltati fuori nell’ambito di un’inchiesta della procura federale che ha per oggetto il figlio del presidente e i suoi affari con soci e società stranieri. L’imprenditore Hunter Biden, chiacchieratissimo in questi giorni anche per le vicende ucraine, ha dovuto chiedere 1 milione in prestito per pagare tasse arretrate. Confermando questa notizia, il NYT ha poi candidamente – diciamo – sfoderato la vicenda delle email mandate allo stesso Hunter e da lui stesso ad altre persone, tra le quali spunta e ricorre il nome del padre, Joe, oltre che dello zio (e fratello del presidente), Jim Biden.

Difficile, leggendo quelle email, non immaginare che il candidato alla Casa Bianca abbia sfruttato il suo ruolo e il suo potere per favorire e consolidare gli affari di famiglia, per così dire. O per meglio dire, il traffico di influenze internazionale, come è stato definito quel grumo di business e relazioni biunivoche tra gli Stati Uniti, chef famiglia Biden, e uomini d’affari e holding internazionali. Va precisato che l’autenticità dei messaggi è fuori discussione. “Quelle e-mail sono state ottenute dal New York Times da una cache di file che sembra provenire da un laptop abbandonato dal signor Biden in centro assistenza del Delaware. L’e-mail e gli altri documenti nella cache sono state autenticate da persone che hanno familiarità con i Biden e con l’indagine” ha precisato la testata, presentando il tutto come un’inchiesta esclusiva ma soprattutto nuova. Il problema, appunto, è che tutto il materiale giaceva nei cassetti del NYT da oltre un anno e mezzo.

FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://www.lindipendente.online/2022/03/19/il-new-york-times-e-il-caso-hunter-biden-quando-i-giornali-si-autocensurano/

Commenti

Related Posts

{{posts[0].title}}

{{posts[0].date}} {{posts[0].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[1].title}}

{{posts[1].date}} {{posts[1].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[2].title}}

{{posts[2].date}} {{posts[2].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[3].title}}

{{posts[3].date}} {{posts[3].commentsNum}} {{messages_comments}}

Search

tags

Modulo di contatto