La fine del Nagorno-Karabakh e l'instabilità ai confini russi

ott 2, 2023 0 comments


DDavide Malacaria 

Il presidente della Repubblica Samvel Shahramanyan, con un solo decreto, ha chiuso la breve storia della repubblica del Nagorno-Karabakh, che cesserà di esistere il prossimo 1 gennaio. Una storia travagliata, dal momento che nacque dopo il dissolvimento dell’Urss, con un referendum che ne proclamava l’indipendenza, il 21 settembre 1991, ponendo una criticità che non si è più risolta, dal momento che nell’Impero sovietico era parte dell’Azerbaigian, che si era reso indipendente da Mosca il 30 agosto dello stesso anno.

L’Azerbaigian, infatti, non ha mai accettato la separazione, da cui le spinte al reintegro della regione perduta. A complicare, e di molto, le cose, la coesistenza nel Nagorno Karabah di armeni e azeri, con conflittualità antiche sfociate anche in eccidi dell’una e dell’altra parte.

E poi la frizione a più ampio raggio tra Armenia e Azerbaigian, entrambe pronte a difendere le ragioni delle rispettive etnie della piccola repubblica. Attrito sfociato in una guerra aperta tra i due Stati tra il 1992 al 1994, finita con un cessate il fuoco interrotto nell’aprile del 2016 (guerra dei quattro giorni) e ripresa con il sanguinoso conflitto del 2020 (settembre-novembre).

L’ultima guerra era terminata grazie alla mediazione di Putin, con una pace durata fino a una settimana fa, quando l’Azerbaigian ha deciso di usare nuovamente la forza.

L’ultima guerra del Nagorno-Karabakh

Un intervento di breve durata e il Nagorno-Karabakh è capitolato, con le forze di pace russe, da tempo nella regione, che hanno fatto scudo agli armeni e mediato la resa, di fatto incondizionata, evitando il temuto un bagno di sangue (peraltro, il corpo di peacekeeping russo ha subito perdite).

Le immagini delle folle di armeni in fuga dal Nagorno-Karabakh, ormai azero a tutti gli effetti, dirette verso la confinante madrepatria, hanno fatto il giro del mondo, con tanto di accuse di pulizia etnica.

Resta da capire perché si è arrivati a questo passo, dal momento che il presidente armeno, a maggio, aveva dichiarato di essere pronto a riconoscere la sovranità azera sul Nagorno-Karabakh se fosse stata garantita la sicurezza degli armeni che vi abitavano.

Insomma, Baku avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato senza la prova di forza attuale, evidentemente decisa, come nella guerra precedente, per l’esitazione della controparte a compiere passi reali in tale direzione.

La guerra, però, come altre, vede un gioco geopolitico ben più complesso che non l’antagonismo azero-armeno, essendo in gioco il destino di due Paesi caucasici di importanza strategica di livello globale perché confinanti con la Russia.

Lo spiega M. K. Bhadrakumar su Indian Punchline ricordando come negli ultimi mesi il presidente armeno Nikol Pashinyan, salito al potere grazie all’ennesima rivoluzione colorata avvenuta nei Paesi ex sovietici (la rivoluzione di velluto in Armenia), abbia dismesso i panni moderati pregressi per indossare quelli usuali dei leader instaurati attraverso tali rivolgimenti, avviando un progressivo distacco-antagonismo da Mosca.

Un distacco che si è palesato in tutta la sua plasticità nelle esercitazioni militari congiunte Usa- Armenia, avvenute poco prima dell’attacco azero, che sono state il catalizzatore dell’intervento: probabile che le autorità di Baku abbiano avuto paura che con Washington ingaggiata in Armenia, l’agognata reintegrazione del Nagorno-Karabakh sarebbe diventata una chimera.

FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://www.piccolenote.it/mondo/nagorno-karabakh-e-instabilita-ai-confini-russi

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