Ucraina mette al bando i simboli del comunismo, l'Ocse denuncia: “Libertà di parola a rischio”

mag 23, 2015 0 comments
Di Alfonso Bianchi
L’Ucraina procede nel suo processo di ‘decomunistizzazione’. Il presidente Petro Poroshenko ha firmato venerdì scorso la legge approvata dal Parlamento “Sulla condanna dei regimi totalitari del comunismo e del nazionalsocialismo e il divieto dei simboli di propaganda”, la cui violazione comporta una pena potenziale di detenzione o di cessazione delle attività di un media dai cinque ai dieci anni. Tutti i simboli del passato regime comunista saranno banditi, e tutte le statue di Lenin e altri leader della rivoluzione Bolscevica verranno distrutte. Sarà vietato poi “smentire pubblicamente la natura criminale del regime totalitario comunista del 1917-1991”. A rischio anche l’attività legale del Partito comunista ucraino, che già lo scorso luglio era stato espulso dal vecchio Parlamento con l’accusa di sostenere i ribelli pro russi.
L’entrata in vigore del provvedimento è stata criticata dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che l’ha definita una “potenziale minaccia alla libertà di parola e di espressione”. Secondo la responsabile per la Libertà dei Media dell’organizzazione, Dunja Mijatović, “la definizione vaga e non ben definita” del testo “limita la possibilità degli individui di esprimere opinioni sugli eventi passati e su persone”, e per questo “potrebbe facilmente portare alla soppressione di un discorso politico, provocatorio e critico, in particolare nei mezzi di informazione”. “Restrizioni sproporzionate alla libertà dei media non possono mai essere giustificati in uno Stato democratico e i significativi progressi dell’Ucraina in questo settore dovrebbero essere preservati, non minati”, ha affermato ancora Mijatović.
La rappresentante dell’Ocse ha criticato anche un’altra legge, pure firmata dal presidente Poroshenko, quella “Sulla status giuridico e sull’onorare i combattenti per l’indipendenza ucraina nel ventesimo secolo”, un testo che introduce la responsabilità penale per chi manca di rispetto pubblicamente verso alcuni gruppi di combattenti per l’indipendenza ucraina e che criminalizza la negazione pubblica della legittimità della loro lotta per l’indipendenza del Paese. Tra questo gruppi c’è anche la controversa formazione politica guidata da Stepan Bandera, l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Oun) e il suo braccio armato, l’Esercito insurrezionale ucraino, ai cui veterani verrà garantita anche una pensione speciale. Bandera durante la guerra si alleò con l’esercito nazista per combattere i sovietici nel periodo 1943-1944. Le sue milizie, che dirigeva dalla Germania, furono implicate nel massacro etnico di circa 70mila forse 100mila polacchi in Volhyn e Galizia nonché in diversi episodi di atrocità contro la popolazione ebraica. Dopo la guerra, le milizie hanno continuato una lotta partigiana contro l’Unione e sovietica fino al 1950.
Fortemente critico contro il provvedimento anti-comunista approvato in Ucraina anche il gruppo della Sinistra unita Gue al Parlamento europeo. “È un altro duro colpo da parte del governo apparentemente democratico del Paese, che ha lo scopo di mettere a tacere le forze che si battono per la pace in Ucraina”, ha attaccato il cipriota Neoklis Sylikiotis secondo cui l’Unione europea “ha la responsabilità di intervenire e condannare questa azione penale illecita che è la prova che si tratta di un governo guidato da forze di estrema destra che si comportano in modo autoritario e antidemocratico”.
Per Inês Zuber la legge “traccia un parallelo inaccettabile tra il comunismo e il nazismo che il nostro gruppo non può che condannare nei termini più forti possibili”, in quanto “non solo equivale a un attacco a tutto campo delle libertà fondamentali, in quanto limiterà severamente la libertà di parola, di stampa e metterà fuorilegge il partito comunista ucraino e le sue attività”, ma rischia anche “di aggravare le tensioni nel Paese lacerato dalla guerra e contribuire così a una escalation del conflitto”.

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