"Fascisti del terzo millennio": l'antropologia di Casa Pound secondo la ricercatrice Maddalena Gretel Cammelli

dic 19, 2015 0 comments
Di Armando Lancellotti
Maddalena Gretel Cammelli, Fascisti del terzo millennio. Per un’antropologia di CasaPound, Ombre Corte, Verona, 2015, 126 pagine, € 12,00
«Primo: me sfilo la cinta; due: inizia la danza/ Tre: prendo bene la mira; quattro: cinghiamattanza/ Primo: me sfilo la cinta; due: inizia la danza/ Tre: prendo bene la mira; quattro: cinghiamattanza/ Cinghiamattanza!/ Cinghiamattanza!/ Cinghiamattanza!/ Questo cuoio nell’aria sta ufficializzando la danza/ Solo la casta guerriera pratica cinghiamattanza/ Questo cuoio nell’aria sta ufficializzando la danza/ Solo la casta guerriera pratica cinghiamattanza/ Cinghiamattanza!/ Cinghiamattanza!/ Ecco le fruste sonore stanno incendiando la stanza/ Brucia la vita d’ardito, urlerai: “Cinghiamattanza!”» (p. 70).
Sono le parole di una canzone degli ZetaZeroAlfa, gruppo musicale di Gianluca Iannone, frontman della band, leader e guida carismatica di CasaPound Italia, movimento politico nato a Roma nel 2003 e che dà di sé la definizione di “fascismo del terzo millennio”.
cover Cammelli
Maddalena Gretel Cammelli, antropologa e ricercatrice presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e l’Università di Bergamo, ascolta la canzone e osserva la reazione del pubblico in una sera d’estate del 2010, quando si reca ad “Area 19 – postazione nemica”, dietro lo stadio Olimpico a Roma, uno spazio che «vuole essere l’equivalente fascista dei centri sociali […] in occasione dell’appuntamento annuale di musica ‘non conforme’: la ‘Tana delle Tigri’». (p. 65) Quando risuonano le note della canzone, si scatena una danza collettiva, un pogo fatto di cinture sfilate e di cinghiate reciprocamente scambiate dai militanti di CasaPound che ascoltano il concerto.
Si tratta di una liturgia collettiva, di un rito comunitario che sancisce e ribadisce l’appartenenza al gruppo, che consolida un’identità condivisa, che materializza il legame della comunità, consistente in un condensato di cameratismo, machismo, arditismo e settarismo elitario, nella convinzione di appartenere ad una “casta guerriera”, ad un’entità orgogliosamente ‘non-conforme’, che, seppur con le modalità di un pogo punk-rock sotto il palco di un concerto, intende rievocare e ripraticare il “mito” squadristico del gruppo d’assalto del fascismo della prima ora. Il “mito”, appunto, perché, secondo l’autrice, è di questo che soprattutto si alimenta – e ci sembra una delle tesi più interessanti del libro – l’identità del singolo militante come dell’intero gruppo di CasaPound Italia; il mito della ‘non conformità’ irriducibile, del comunitarismo organico, del fascismo vissuto più come esperienza esistenziale, come categoria mistica dello spirito, come estetico stile di vita che come prassi politica costruita su rigorose e coerenti categorie socio-economiche, politiche e culturali.
Di questo parla il libro di Maddalena Gretel Cammelli, Fascisti del terzo millennio. Per un’antropologia di CasaPound, recentemente uscito per Ombre Corte, nel novembre 2015. Un lavoro importante, dice nella Prefazione Jonathan Friedman, perché studia un movimento politico di estrema destra fascista quale CasaPound che, come tutti gli analoghi gruppi europei ultranazionalisti e populisti, fa del principio identitario, ridefinito su base etnico-nazionale, un punto fermo della propria piattaforma ideologica e pratica, in un momento storico in cui l’intera società occidentale – a seguito degli intensi e crescenti fenomeni migratori, della globalizzazione economica e della sua crisi – pare subire una sorta di “ubriacatura identitaria”, fertile terreno di coltura in cui le cellule di un risorgente fascismo possono moltiplicarsi e prosperare. La «crisi delle tradizionali forme d’identificazione quali la classe sociale» lascia spazi vuoti da occupare per «forme di radicalizzazione ed etnicizzazione legate a specifiche identità culturali, in cui il focus è passato dalla classe all’etnicità, dalla classe alla cultura, dalla razionalità al bisogno di religione» (p. 52). Fenomeni – come è noto – che si sono manifestati in anticipo nell’Europa orientale post-comunista, in cui l’affannosa ricerca di paradigmi identitari da sostituire a quelli esauritisi ha prodotto un pullulare di movimenti neofascisti, neonazisti, comunque variamente nazionalistici (o localistici) che hanno (ri)dato voce a sciovinismi xenofobi vecchi e nuovi e a revisionismi mai del tutto cancellati.
In ogni caso si tratta di forme di “integralismo” politico, che l’autrice definisce, sulla scorta di Douglas Holmes, come correnti o movimenti di pensiero conseguenti a periodi o fenomeni destabilizzanti di radicale crisi di senso e che elaborano modalità di appartenenza essenzializzanti, cioè olistiche, totalizzanti.
L’approccio all’oggetto d’analisi che l’antropologa Maddalena Gretel Cammelli appronta è quello etnografico: una approfondita e rigorosa ricerca sul campo che si sviluppa dalla dialettica tra la prospettiva “emica” dell’oggetto sociale analizzato, del suo punto di vista, del suo sistema di pensiero e di valori, con cui la studiosa deve stabilire un efficace contatto/scambio e la prospettiva “etica” della presa di distanza dall’”indigeno” analizzato e del rigoroso giudizio scientifico che deve concludere il lavoro di ricerca. Lavoro reso ancora più difficile dalla appartenenza dell’autrice all’area politica contraddittoria rispetto a quella studiata e al mondo culturale e valoriale dell’antifascismo. Divergenza dall’oggetto di indagine che se, come Cammelli stessa afferma, ha prodotto da un lato scontate e sospettose diffidenze reciproche – si tratta di uno di quei casi «in cui “non si amano i propri indigeni”» (p. 19) – dall’altro rende ancora più interessante il lavoro svolto e il libro che lo rendiconta.
Tra le parti più interessanti del saggio, quella in cui l’autrice, dopo aver tracciato una sintetica storia del neofascismo dal Msi fino alla nascita di CasaPound – prima come costola di Fiamma Tricolore, poi come movimento indipendente – considera il programma politico del ‘fascismo del terzo millennio’, con cui il movimento partecipa alle elezioni amministrative e regionali del 2013.
Si tratta di una miscellanea di idee e punti programmatici attinti a piene mani dal fascismo del Ventennio e dall’intero suo arco di sviluppo storico, dalla prima ora fino a Salò, con l’aggiunta di qualche variazione, mai essenziale, o adattamento al contesto e alla realtà odierni.
Centrale e fulcro dell’intero impianto programmatico è l’idea della Nazione, intesa secondo le modalità organicistiche dello Stato etico gentiliano, che intende la Stato stesso come un fatto spirituale e morale prima ancora che come un’entità giuridico-politica, dove l’individuale è concepito solo in quanto sussunto dall’universale organico del corpo statale e dove i rapporti sociali di classe si articolano secondo la logica corporativistica dello sforzo interclassista per il conseguimento del bene comune superiore. Una siffatta Italia Nazione dovrebbe, di seguito, essere in grado di imporre una Sovranità forte, variamente intesa come difesa del territorio e conseguente potenziamento del sistema di difesa nazionale, anche attraverso la reintroduzione della leva obbligatoria estesa pure alle donne; oppure intesa come sovranità energetica, tramite il ritorno all’energia termonucleare e la nazionalizzazione dell’energia elettrica e di altri settori economici e infrastrutturali strategici. E’ facile cogliere il nesso con la sovranità autarchica del fascismo mussoliniano, che viene però estesa e traslata sul piano europeo, per il quale CasaPound auspica la creazione di uno spazio commerciale chiuso, una sorta di autarchia continentale, che si coniuga al contempo con l’avversione fortissima per la moneta unica europea, intesa come strumento del “vampirismo” del sistema finanziario e bancario internazionale.
La critica al sistema finanziario, accusato di strozzinaggio e usura ai danni dei popoli, è uno dei temi più ricorrenti nella propaganda politica di CasaPound, soprattutto e comprensibilmente dall’inizio dell’attuale crisi economica in poi. La soluzione proposta consiste nella statalizzazione delle banche e dell’intero sistema finanziario che però, a giudizio della Cammelli, si traduce in uno sciovinismo economico che non mette in discussione i meccanismi strutturali del sistema capitalistico, ma assume la forma di un apparente anticapitalismo che identifica un nemico esterno al corpo della nazione, la finanza internazionale (l’equivalente aggiornato e corretto – neppure troppo! – delle demoplutocrazie degli anni Trenta additate come nemico da Mussolini o del complotto antitedesco della finanza ebraica internazionale denunciato da Hitler) e agisce sulla leva del consolidamento comunitario attraverso il ricorso al fin troppo facile meccanismo del capro espiatorio.
Come già nei fascismi “classici”, l’organicismo comunitario della nazione sovrana trae linfa vitale dalla definizione identitaria etnico-nazionale – se non più razziale – e trova la propria antitesi nel fenomeno dell’immigrazione. CasaPound specifica di non essere contro il migrante in sé, ma contraria all’immigrazione usata dalla finanza internazionale per destrutturate e precarizzare a proprio vantaggio il mercato del lavoro, nella fattispecie quello italiano.
L’associazione Sovranità, fondata nel dicembre del 2014 come piattaforma di convergenza politica tra CasaPound Italia e la Lega Nord di Salvini, sintetizza il proprio programma nei tre punti: no euro; basta immigrazione; prima gli italiani. «Il sintetico progetto si presenta con un logo che sembra richiamare l’estetica del fascio, non littorio, ma esplicitamente legato alla terra: tre germi di grano, su sfondo celeste». (p. 43-44).

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