Il concetto di Impero nel pensiero di Jiang Shigong

feb 20, 2022 0 comments


Di Daniele Perra

 La storia globale è storia di scontro e competizione per l’egemonia tra imperi diversi e storia dell’evoluzione delle forme imperiali. Lo Stato-nazione è un prodotto relativamente recente e moderno, e le sue attività politico-economiche sono sempre state garantite da forme di ordine imperiale.

Sulla base di questo assunto, Jiang Shigong, professore della scuola di diritto dell’Università di Pechino, si propone di riesaminare la storia mondiale partendo dalla prospettiva imperiale e superando l’ideologia dello Stato-nazione. Una simile prospettiva si pone già in partenza in totale antitesi rispetto ad una forma di pensiero particolarmente in voga in “Occidente” negli anni recenti che ha trovato massima espressione nell’opera del teorico israeliano Yoram Hazony.

Di fatto, Hazony, nel suo testo Le virtù del nazionalismo, avanza l’idea che il “nazionalismo sia vecchio come l’Occidente” (concetto ad onor del vero abbastanza oscuro se non si specifica a quale realtà “occidentale” ci si riferisca visto che l’“Occidente”, così come oggi lo conosciamo, è il prodotto di una costruzione ideologica piuttosto recente) e che il primo prototipo di Stato-nazione sia stato rappresentato dal biblico Regno di Israele. Ciò che sorprende della teoria di Hazony è il fatto che questa (forse anche per evitare un confronto diretto con il pensiero schmittiano) si tenga ben lontana dall’esaminare il concreto processo di creazione dello Stato nell’Europa moderna. Gli Stati-nazione per eccellenza, nel pensiero dell’ideologo israeliano, sono infatti gli Stati Uniti e l’odierno Stato d’Israele[1]. Inutile dire che un simile approccio, dietro il desiderio della parcellizzazione del mondo, nasconda il tradizionale principio imperialista del divide et impera e la volontà di dominio dello Stato forte sullo Stato debole. Al contrario, Shigong, sulla linea del geopolitologo francese François Thual[2], si domanda quanti degli attuali oltre 200 Stati esistenti siano realmente sovrani e se l’ordine globale sorto dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla fine della Guerra Fredda sia concretamente costituito su una moltitudine di entità politiche dotate di medesimi diritti in ambito internazionale o meno. La risposta a tali quesiti non può prescindere da un’analisi del concetto di impero così come viene inteso dal pensatore cinese.

L’impero come forma universale

Shigong utilizza il termine “impero” come concetto descrittivo sociologico e intellettuale. L’impero, forza motoria dietro ogni grande cambiamento e sviluppo nel corso della storia, è il sistema politico che governa i “grandi spazi”[3]. L’idea imperiale è sempre universale ma storicamente è stata sempre limitata nello spazio e nel tempo. Solo con l’accelerazione della globalizzazione negli ultimi decenni si è sviluppata l’idea di una civilizzazione mondiale fondata sui valori dell’impero uscito vincitore nello scontro tra forme imperiali con aspirazioni mondiali: il modello liberal-democratico nordamericano ed il modello comunista sovietico.

A questo proposito è bene ricordare l’intrinseca peculiarità della forma imperiale nordamericana pervasa di messianismo dall’ideale del “destino manifesto”. Questa idea è stata ampiamente approfondita dallo studioso Anders Stephanson che, osservando differenze e similitudini tra il modello nordamericano e le forme imperiali del passato, è giunto alla conclusione che tutte più o meno indistintamente abbiano sostenuto la propria unicità e sotto certi aspetti preteso di essere state consacrate da un ordine superiore. Tuttavia, solo nel caso nordamericano tale idea di “consacrazione” si è presentata come convinzione di diritto alla trasformazione del mondo a propria immagine e somiglianza con l’obiettivo di giungere a quella che viene definita propriamente come “fine della storia”[4].

Cinque forme di impero per cinque civiltà

Ora, Shigong individua cinque civiltà imperiali che hanno contraddistinto storicamente la massa continentale eurasiatica: la civiltà sino-confuciana, la civiltà indù, la civiltà islamica, la civiltà cristiana dell’Europa e la civiltà delle steppe dalla quale è sorta l’entità imperiale zarista. Tutte indistintamente erano civiltà imperiali “terrestri”, almeno fino all’epoca d’oro delle navigazioni transoceaniche.

La civiltà cristiano-europea ha sempre percepito quella islamica e quella russa come minacce per il semplice fatto che queste, posizionate a metà tra l’Occidente e l’Oriente dello spazio eurasiatico, bloccavano la via europea verso l’India e l’Est. Gli stretti rapporti tra la civiltà islamica e l’Oriente, secondo Shigong, consentirono a questa di mantenere una sostanziale superiorità militare e intellettuale rispetto all’Europa per tutto il corso del Medioevo. Tuttavia, i rapporti di forza mutarono quando gli Europei, costretti a prendere la via degli oceani, “scoprirono” il Nuovo Mondo ed iniziarono a navigare attorno all’Africa.

Con la colonizzazione del “Nuovo Mondo” inizia anche la competizione all’interno dell’Europa ed il processo di formazione dello Stato-nazione come entità moderna in aperto contrasto con i modelli imperiali “datati” (Russia, Impero Ottomano e Cina). Ma la competizione interna all’Europa si proietta ancora una volta come competizione tra modelli differenti di impero coloniale. Ai modelli iberici “inclusivi” (ogni singolo “indio” era comunque ritenuto un suddito della Corona) ed ancora pervasi dei caratteri tradizionali degli imperi terrestri si contrappongono i modelli britannici olandesi “esclusivi” e razzisti (la popolazione indigena delle Americhe, anche in virtù di un modello di colonizzazione ideologica incentrata sul mito puritano del nuovo esodo biblico, viene ritenuta meritevole di annichilimento) incentrati sul potere mercantile marittimo.

Il modello nordamericano, uscito vittorioso dal confronto tra nuove forme imperiali nel corso del Novecento, si pone come erede del modello britannico ma possiede anche dei caratteri propri. Questo è un sistema globale onnicomprensivo che si mantiene solo in termini relativi attraverso l’occupazione militare (limitata solo a specifiche aree di interesse strategico). L’impero globale nordamericano si fonda sul predominio scientifico, tecnologico e commerciale (sul ruolo del dollaro come valuta di scambio internazionale che consente la possibilità di imporre sanzioni unilaterali ai Paesi “dissidenti”), su istituzioni internazionali più o meno eterodirette da Washington e sull’utilizzo dello stesso diritto internazionale a proprio piacimento. Di fatto, il rapporto tra Cina (Paese esportatore di beni ed importare di debito nordamericano) e USA è andato avanti finché questa non ha iniziato a minacciare seriamente il potere tecnologico di Washington che, in passato, aveva già schiacciato i tentativi giapponesi ed europei nel medesimo campo.

Secondo Shigong tanto la Russia quanto la Cina si muoverebbero all’interno del sistema imperiale globale nordamericano e non al suo esterno. La loro sfida, dunque, parte dall’interno di questo sistema anche se punta a superarlo. Inutile dire che una simile concezione smaschera apertamente l’inganno della dicotomia politica “occidentale” globalismo/sovranismo. Lo scontro politico tra “sovranisti” e “globalisti” si muove ancora una volta all’interno di un ordine globale che esiste già ed entrambi mirano a rimanere in tale ordine e non ad uscirne (i sovranisti che ambiscono al massimo ad una sovranità sotto protezione di Washington) o addirittura a rinforzarlo ulteriormente (globalisti). E, di conseguenza, non sorprende il fatto che la Cina, con il suo obiettivo di costruire un nuovo “nomos della terra”, venga vituperata alternativamente da entrambi gli schieramenti.

Ora, nella prospettiva di Shigong, il sistema imperiale nordamericano è in crisi perché ha cercato di imporre una uniformazione totale su scala globale del proprio sistema ideologico, mentre la forza dell’impero è sempre stata costituita dalla possibilità dell’eterogeneità all’interno di un grande spazio. Un grande ordine politico, infatti, deve necessariamente fungere da scenario per lo sviluppo di modelli locali che, a loro volta, non possono esistere al di fuori dello stesso ordine. Un impero, se vuole avere aspirazioni globali, deve essere in grado di fornire un meccanismo di coordinamento su scala planetaria che consenta la competizione produttiva e la coesistenza pacifica tra modalità di organizzazione politica ed economica differenti.

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[1]    Y. Hazony, Le virtù del nazionalismo, Guerini e Associati, Milano 2019, pp. 22-33.

[2]    Si veda F. Thual, Il mondo fatto a pezzi, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2008.

[3]    Per un ulteriore approfondimento del concetto di impero nel pensiero di Jianf Shigong si veda The internal logic of super-sized political entities: empire and world orderwww.aisixiang.com

[4]    A. Stephanson, Destino manifesto. L’espansionismo americano e l’impero del bene, Feltrinelli, Milano 2004, p. 18.

FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/il-concetto-di-impero-nel-pensiero-di-jiang-shigong/

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