Siria: chi spinge la rivolta in braccio agli imperialisti?

lug 16, 2011 0 comments
Una corrispondenza da Aleppo

Pubblichiamo qui sotto una preziosa e recentissima (12 luglio) testimonianza da Aleppo, detta anche “La capitale del Nord”, che coi suoi tre milioni di abitanti è la città più popolosa della Siria. Anche qui è giunta la rivolta iniziata nel marzo scorso, mobilitando soprattutto gli abitanti dei quartieri popolari. Si parla della provocatoria visita che gli ambasciatori francese e americano hanno compiuto, venerdì 8 luglio nella città di Hama (già teatro nel 1982 di una rivolta popolare a guida islamista che si concluse con una repressione-bagno-di-sangue che fece più di 25mila morti).
Un gesto, questa visita, che esprime il tentativo sfacciato, da parte degli imperialisti, non solo di ficcare il naso negli affari interni siriani, ma di intercettare la rivolta popolare, anzi, di metterci il cappello sopra. «L'auto di Ford [l’ambasciatore americano, Ndr] è stata accolta da una folla festante, euforica, che agitava ramoscelli di ulivo e scandiva slogan contro Assad. Non si era mai visto niente di simile nella Siria contemporanea: un rappresentate americano portato in trionfo nel Paese arabo guida del "fronte del rifiuto" a Israele e agli Stati Uniti». (Il sole 24 ore del 12 luglio)
Questa incursione segna un passaggio decisivo nell’approccio imperialista rispetto alla crisi siriana.
Per almeno tre mesi la Casa Bianca ha tenuto un atteggiamento prudente, di apparente neutralità. La Clinton ha più volte espresso l’augurio e l’idea che il regime siriano avrebbe accettato una specie di auto-riforma. Una linea, in buona sostanza, che stava sulla falsariga di quella adottata in Egitto, un appello al regime perché aprisse alle opposizioni moderate e emarginasse l’ala più intransigente del Baath. A quattro mesi dall’inizio della sommossa popolare questa linea si è dimostrata del tutto velleitaria, il regime baathista non si è spaccato, di qui la mossa di Hama.
Domanda: una prova di forza, il gesto simbolico delle diplomazie americana e francese? O non piuttosto di debolezza? Più la seconda ipotesi che la prima. Che migliaia di cittadini (così almeno mostrano le immagini diffuse proprio dai media ufficiali siriani) abbiano accolto con esultanza l’ambasciatore yankee Robert Ford, ovvero osannato quello che da sempre è un nemico della Siria, mostra fino a che punto è diventato enorme l’abisso che separa il regime e l’alleanza che lo sostiene, dal popolo in rivolta e la disperazione che serpeggia tra i cittadini che chiedono un radicale cambiamento. Ma se gli americani vogliono agganciare la rivolta non è per nulla detto che essi possano riuscirci. Tra le correnti politiche che sostengono la sollevazione popolare le frazioni filo-occidentali sono un’infima minoranza e contano poco o nulla (esistono semmai correnti islamiste nostalgiche del califfato che auspicano un intervento turco, ma non occidentale).
L’incursione ad Hama, questo gesto provocatorio, è il tentativo degli imperialisti di dare forza e slancio ai loro lacchè siriani in esilio che foraggiano. Il rischio, per loro, è che ottengano il risultato contrario. E di questa incursione proprio il regime ne porta la più grande responsabilità: con la sua politica di cieca repressione esso, come accaduto anche in Libia, davvero spinge la rivolta popolare tra le braccia degli imperialisti.

Una Corrispondenza da Aleppo
Una risposta a Mrs.Clinton
 (da conbagaglioleggero)
«Ad Aleppo non si parla d’altro. Dalla città nuova, intorno alla grande piazza di Saahat Saad Allah al-Jabri, fino al quartiere cristiano-armeno di Al-Jedida a nord della città vecchia. Nelle stradine del Suq, nei caffè, per strada, La visita degli ambasciatori degli Stati Uniti e della Francia ad Hama, venerdi 8 luglio è stata vista come una forte ingerenza nella politica interna siriana. Per molti la “prova che gli Stati Uniti e la Francia hanno interesse a destabilizzare il Paese”.
Ma l’attacco alle ambasciate americane e francesi? Non è un fatto grave? Salim, guida turistica disoccupata risponde: “Condanno la violenza ma siamo stati provocati. La decisione dell’ambasciatore Ford di visitare Hama, è ingiustificabile. E’ come se l’America e la Francia avessero dato legittimità ai Fratelli musulmani”. Salim appartiene a quella parte di siriani che da preferenza alla stabilità piuttosto che alla libertà. Polemico nei confronti della “democrazia importata”, è convinto che “i militanti islamismi nel Paese e all’estero rappresentino un serio pericolo per la Siria”. “Vediamo con timore ciò che è successo in Egitto e in Tunisia -  aggiunge Bassem, ristoratore 40nne - vogliamo che questo Paese rimanga laico”.
Ad Aleppo, come a Damasco, vivono ampi settori della borghesia commerciale che non hanno partecipato alle rivolte. In città, la crisi economica sembra meno forte che a Damasco. Le strade sono affollate, i ristoranti pieni. Si sente musica fino a tardi. Le giornate sono calde e la gente esce di sera a passeggio, per godersi il fresco. C’è una  certa vivacità anche se tutti ammettono apertamente che il Paese “sta vivendo un momento difficile”. La caduta del turismo, le sanzioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, pesano.
“L’Iran però ha incominciato a vendere il suo petrolio in lira siriana per sostenere la nostra valuta - garantisce un importante commerciante di stoffe. Siamo forti. Ne verremo fuori” .Qualcuno, ora è preoccupato per un possibile intervento militare francese contro la Siria con la copertura dell’Onu.” “Non posso pensarci”, dice sconsolata Agnes, una ragazza armena che lavora come receptionist in un albergo del centro. “Mi viene in mente la Libia e rabbrividisco”. Ma il giovane collega la rassicura “anche gli oppositori militanti hanno protestato. Ho letto sulla pagina di Fb, la rivoluzione siriana 2011, un proclama: il popolo rifiuta in modo formale e categorico qualsiasi intervento militare straniero nel Paese”. Agnes sospira: “Speriamo che vada  tutto bene. A volte mi sembra di vivere in un brutto sogno”».


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