Intelligenza corporea: il modo di camminare influenza emozioni e pensieri

set 17, 2015 0 comments


http://www.linguaggiodelcorpo.it/2015/09/10/intelligenza-corporea-il-modo-di-camminare-influenza-emozioni/

L’abitudine a fare due passi é un vera toccasana per la nostra salute: migliora l’efficenza cardiaca; tiene lontana l’osteoporosi; aiuta a perdere peso; tonifica i muscoli e via dicendo.
I benefici della passeggiata, tuttavia, non si limitano a mantenerci in forma: numerose ricerche hanno, infatti, dato prova che “razzolare” con regolarità e di buona lena (come, appunto, camminare a ritmo sostenuto) ha un ottimo effetto antidepressivo).
“Sgambettare” in modo pimpante infonde un senso di piacere, tranquillità e benessere e contribuisce ad alleviare il dolore della depressione, stimolando la produzione di oppiacei naturali del corpo, chiamati endorfine.









Questi parenti chimici di morfina sono responsabili della sensazione di euforia nota come “sballo del corridore.”
La sua efficacia dipende però dal modo in cui lo si fa: se camminiamo con fatica e con un senso di peso addosso, dopo ci sentiamo ancora più avviliti e privi di energia.
Chi é avvilito o prostrato, infatti, tende a muoversi in modo caratteristico: fa piccoli passi, spesso strascicati ed estremamente lenti.
Inoltre, la falcata é priva di energia; le spalle sono abbassate; la schiena appare curva e la testa é china, mentre le braccia vengono lasciate ricadere lungo i fianchi
Erik Peper e I-Mei Lin hanno condotto uno studio per verificare se lo stile della camminata potesse incidere sul livello di energia percepita.
Così, hanno coinvolto 110 partecipanti invitandoli a attraversare un breve percorso, adottando due andature diverse.
In un caso, dovevano assumere una postura appesantita: quasi trascinando i piedi.
Nella seconda prova, invece, dovevano procedere in modo vigoroso e “arzillo”.
Dopo i due tragitti é stato misurato il loro tono muscolare ed é stato valutato loro vigore.
I due ricercatori hanno così rilevato che dopo la camminata stanca, i volontari apparivano come “svuotati”; per contro, quando avevano “pedalato” risultavano aitanti e pieni di verve.
Commentando i risultati, i due autori sottolineano che questo studio é la dimostrazione concreta che se atteggiamenti e stato d’animo si riflettono nella postura corporea, é anche vero il contrario: la qualità del movimento e l’energia di rimbalzo cambiano il nostro umore.
L’esperimento é stato replicato, con alcune varianti, da Johannes Michalak, Katharinse Rohde e Nikolaus Troie.
Questi ricercatori hanno reclutato 39 volontari, chiedendo anche in questo caso di camminare in modo fiacco o energico.
Tutti i volontari indossavano delle tute con dei una sorta di “catarifrangenti” negli “snodi” delle gambe, che consentivano ad una speciale video camera di rilevare l’andatura e di inviarla direttamente ad un computer per l’elaborazione.
Mentre i volontari camminavano in modo stentato o baldanzoso, ascoltavano una serie di 40 tratti del carattere e veniva chiesto loro se si si si ricoscevano in quegli attributi.
Dopo di che, sono stati lasciati girovagare per 8 mantenendo l’andata che era stata loro assegnata.
Infine, gli é stato chiesto di ricordare quante più parole possibili di quelle che avevano sentito.
L’esito, in linea con quanto emerso dallo studio precedente, ha dimostrato che chi aveva “saltato di gioia” tendeva a richiamare soprattutto le attribuzioni positive; per converso, quelli che erano andati “a spasso” con una postura depressa, avevano tenuto in mente le espressioni sgradevoli.
In altre parole, anche questo secondo studio dimostra che il modo di deambulare condiziona emozioni e autostima.
Gregory Bratman, dottorando in biologia all’Università di Stanford, ha scoperto che l’ambiente in cui passeggiamo é tutt’altro che ininfluente: uno studio condotto su un gruppo di 38 volontari, ha messo in luce che, le passeggiate nella natura, riducono la tendenza alle ruminazioni mentali e ai pensieri negativi.
Gli stessi partecipanti, monitorati con l’fMRI, hanno mostrato la diminuzione di un’area cerebrale, la corteccia prefrontale subgenuale.
Questa regione é particolarmente attiva quando facciamo pensieri negativi e e cupi su noi stessi.
L’effeto però non erano stato rilevato in chi camminava in aree urbane.
Il beneficio, inoltre, é poi molto più intenso se, oltre a passeggiare all’aria aperta, tra viottoli, prati e boschi, cambiamo ogni giorno percorso; se esploriamo nuovi sentieri e se lo facciamo in compagnia di persone sempre diverse.
Può apparire quanto meno strano, ma quando, pur spremendoci le meningi, non riusciamo a trovare una soluzione ci può accedere la “lampadina” se facciamo qualcosa in modo inusuale: come camminare a ritroso.
E’ quanto emerge da uno studio, condotto dalla ricercatrice Eve Errs e dal suo team.
Per verificare la loro ipotesi, la Errs ha coinvolto un gruppo di 60 partecipanti divisi equamente in due squadre.
Al primo gruppo era stato suggerito, durante le loro camminate, di “marciare” all’indietro.
Gli altri, il gruppo di controllo, dovevano invece passeggiare come sempre.
In seguito, a tutti i volontari sono stato affidati due compiti per valutare se effettivamente camminare in modo inusuale potesse potenziare la creatività.
In uno, o soggetti venivano invitati a trovare nuovi impieghi per l’uso di un mattone.
Nel secondo, invece, l’incarico era disegnare immagini di extraterrestri.
Ne é emerso che chi aveva “rotto” la routine, rispetto ai “conservatori” aveva elaborato soluzioni molto più originali per l’impiego del mattone; inoltre, i suoi disegni di alieni erano decisamente più stravaganti e particolari.

In ultimo, la Errs ha preso in esame un esempio storico di camminata al rovescio: il famoso passo di danza “moonwalk” ideato da Michael Jackson.
Dopo aver inventato moonwalk, il cantante ne ha fatto il proprio cavallo di battaglia: esibendosi in questa performance ad ogni tour: più e più volte; senza parlare di tutte le volte che deve essersi esercitato per padroneggiarlo.
Proprio questo costante esercizio in una manovra così insolita avrebbe determinato la svolta nella produzione musicale di “Jacko”. I ricercatori, infatti, sostengono che fu proprio da quel momento che i testi e le musiche del cantante sono diventate molto più creative e innovative.

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