Di Francesca Esposito
1. L’itinerario di Cornelius Castoriadis
Sarebbe certamente un errore definire Cornelius Castoriadis un intellettuale, etichetta che egli stesso giudica qualcosa da evitare. Infatti, egli considera intellettuali filosofi come Sartre e Heidegger, in quanto giustificatori e razionalizzatori dell’ordine stabilito e, rispettivamente, dei regimi stalinisti e del nazismo.
Per Castoriadis il compito del pensatore è quello della critica del già istituito, del pre-stabilito, di ciò che si presuma dato una volta per tutte e, di conseguenza, di ogni ideologia e totalitarismo che minaccino l’autonomia individuale e collettiva. Egli senza dubbio ha incarnato nel corso della sua vita l’ideale di
Il lavoro critico di Castoriadis ha assunto il significato di una ricerca mai paga, mai definitiva di un pensiero rivoluzionario, di un pensiero altro da quello ereditato, tradizionale, sia nell’ambito della teoria politica che in quello della teoria filosofica, di un pensiero rivolto al progetto di autonomia individuale e collettiva.
Nel proponimento di delucidare i limiti e le aporie di quella che egli ha definito la logica-ontologia ereditata, con cui ha inteso l’intero quadro del pensiero filosofico ereditato, Castoriadis ha sviluppato la categoria di psiche e ha operato, tra il 1965 e il 1968, la rielaborazione della psicoanalisi. Frutto maturo di questo percorso è l’opera intitolata L’istituzione immaginaria della società (1975).La rielaborazione della psicoanalisi non ha avuto, per Castoriadis, come obiettivo principale un nuovo apporto teorico a questa disciplina specifica, ma il rinnovamento in toto della filosofia tradizionale.
Gli anni dedicati al riesame della teoria psicoanalitica subentrano agli anni di un fervido impegno militante, prima nel PC greco (1941), poi nelle file del partito trotzkista francese, all’indomani del suo trasferimento in Francia nel 1945, e infine, a partire dal 1948, nel gruppo Socialisme ou Barbarie, fondato con Claude Lefort ed esprimentesi nella rivista omonima dal 1949 al 1966.
Gli anni che precedettero la stesura de L’istituzione immaginaria della società, furono per Castoriadis molto fervidi. In una prima fase egli è stato impegnato nella elaborazione del concetto di sociale-storico, contenuta nella prima parte de L’istituzione immaginaria della società, intitolata "Marxismo e teoria rivoluzionaria" (1964-1965); tale elaborazione ha avuto luogo attraverso un’attenta rilettura critica dell’economia e della teoria marxiste. In una seconda fase egli ha compiuto prima, tra il 1968 e il 1971, un’ampia riflessione sul linguaggio, e poi, tra il 1971 e il 1974, un vasto ripensamento della filosofia tradizionale.
Già nella delucidazione della questione del "sociale-storico" – che non è altrimenti se non la questione della società e quella della storia –, come pure nelle osservazioni che vertono sul linguaggio, si fa sempre più prepotente il convincimento, da parte di Castoriadis, di quanto il pensiero ereditato sia adeguato al mondo che l’ha prodotto e, cioè, di quanto esso sia dovuto ad uno determinato modo di intendere l’essere, di un modo consustanziale ad una determinata civiltà: quella greco-occidentale. L’influenza che la società greco-occidentale ha esercitato sugli schemi cognitivi dell’umanità ha fatto sì che venisse disconosciuto, innanzitutto, il ruolo primario che rivestono l’immaginario, nella società, e l’immaginazione, nella psiche individuale. Infatti ciascuno di essi è stato ridotto a mera immagine speculare del reale. In verità, come scrive Castoriadis,
La nozione di immaginario radicale ritorna in tutta la riflessione filosofica di Castoriadis come un’idea quasi ossessiva, funzionale alla necessità di sottrarla aldisconoscimento/occultamento che di essa ha operato la filosofia occidentale nell’affrontare le tematiche che vertono sulla società, sul mutamento o divenire storico, sul linguaggio, sulla psiche, inconscia e conscia.
2. Filosofia e società
Riconoscere il ruolo centrale dell’immaginario sociale nella questione che verte sul sociale-storico, significa per Castoriadis, prendere le distanze dal cosìdetto paradigma funzionalista, che – come egli stesso chiarisce nel capitolo terzo della prima parte de L’istituzione immaginaria della società, apparso per la prima volta in Socialisme ou Barbarie nel 1965 e risalente al periodo di già definitiva rottura con il marxismo – non rende ragione né della reale natura della società e né di quella della storia.
Il paradigma funzionalista parte dalla fissità dei bisogni umani e spiega le più diverse organizzazioni culturali e sociali come l’insieme delle funzioni volte a soddisfarli. In tal modo ilfunzionalismo chiude gli occhi sul fatto essenziale che tutto ciò che è avvertito come mancanza o bisogno è istituzione sociale, creazione dell’immaginario sociale, anonimo e collettivo, al quale solo si deve l’incarnazione entro i singoli individui sociali delle sue produzioni/istituzioni/creazioni.
Ciò che Marx ha disconosciuto, in ragione della sua adesione al funzionalismo, è proprio il ruolo dell’immaginario sociale, che egli ha ridotto a
Ma neppure il paradigma strutturalista rende conto dell’esser-proprio del sociale-storico. Tale paradigma ha ridotto, a detta di Castoriadis, le istituzioni sociali a meri reticoli simbolici, alle possibili combinazioni di un numero finito degli stessi elementi discreti. In tal modo esso ha eluso il problema dell’insorgenza delle differenze e dell’origine del simbolismo istituzionale, che è la società stessa, la società istituente.
Interpretare le istituzioni in termini di simboli, significa dimenticare che il simbolismo istituzionale è creazione della società istituente e che i simboli veicolano significati relativamente indipendenti dai significanti che li sostengono, nonché che tali significati svolgono un ruolo non marginale nella scelta e nell’organizzazione di questi significanti.
L’istituzione della società ha sempre il valore di una creazione immaginaria, il valore, cioè, di autodispiegamento dell’immaginario radicale come società e storia, come il sociale-storico per l’appunto. Sebbene ogni istituzione e creazione sociali si appoggino all’esser-così del mondo o a quello che Castoriadis denomina primo strato naturale – e che corrisponde allo strato effettivamente formalizzabile dell’essere, a quello strato, cioè, che si presta ad una conoscenza logico-scientifica, basata sui principi di non contraddizione e di identità –, esse ne trasfigurano/alterano/deformano le proprietà costitutive e, soprattutto, le dotano di senso attraverso la posizione di punti di vista arbitrari e immotivati solo a partire dai quali è possibile sapere ciò che per una data società è razionale o reale.
In ultima istanza, quindi, del sociale-storico non è possibile alcuna teorizzazione, nell’accezione ereditata del termine, bensì solo una delucidazione.
Riconoscere alle origini delle istituzioni sociali o della società istituita la stessa società istituente, significa, per Castoriadis, riconoscere che ogni società è autonoma, all’origine delle proprie istituzioni. Se è essa stessa che crea le proprie istituzioni, allora queste ultime non possono mai essere considerate come date una volta e per tutte, immodificabili, imperiture: anzi, esse si prestano alla loro perpetua riconsiderazione e alterazione.
Ne segue, per Castoriadis, che il contenuto del progetto rivoluzionario:
Infatti, nulla è più estraneo al pensiero di Castoriadis che l’opposizione o l’antagonismo tra individuo e società. L’individuo è sempre individuo sociale, fabbricato dalla società istituita: proprio per questo, l’individuo da solo non è in grado di mettere in discussione l’orizzonte sociale di riferimento, né è capace di mettere in discussione se stesso, se non virtualmente come soggetto autonomo.
È necessario, quindi, a che gli individui fabbricati dalla società "investano" affettivamente il valore dell’autonomia, che essa sia già comparsa come significato immaginario sociale, come valore sancito ufficialmente, creato, posto in essere dall’immaginario sociale operante nella società in questione.
L’effettiva autonomia collettiva e individuale può, dunque realizzarsi solo ove sia vigente un’autentica democrazia o Kratos del demos, autogoverno effettivo di una collettività generalizzata. Le odierne democrazie, in quanto rappresentative, appaiono a Castoriadis, piuttosto delle oligarchie liberali, in cui la partecipazione dei più alla gestione della cosa pubblica, lungi dall’essere incoraggiata, è di fatto espressamente ostacolata.
3. La riflessione sul linguaggio
Anche nella riflessione sul linguaggio ritorna instancabilmente la nozione di immaginario sociale: anche il linguaggio, infatti, è creazione immaginaria, posizione inaugurale di immagini/figure/forme ad opera dell’immaginario istituente, attraverso cui tutto ciò che la società percepisce come reale o razionale, si mostra nel suo esser-proprio istituzione/creazione dal nulla [ex nihilo], non mero riflesso o immagine speculare dell’esser-così del mondo, del primo strato naturale.
Tuttavia, l’istituzione del dire, come anche del fare sociale, comporta sempre due dimensioni: una "identitaria" ed una "immaginaria". La dimensione identitaria del fare sociale è rappresentata dal teuchein, quella del dire sociale dal legein.
Legein e teuchein sono necessariamente implicati nell’istituire sociale-storico, nella misura in cui
Il sociale-storico è, innanzitutto, il luogo in cui si materializzano i significati immaginari sociali, il cui ambito, costituendo un magma, non è riducibile all’insieme dei significati identitario-insiemistici, all’insieme, cioè, dei significati del linguaggio che soggiacciono ai principi logici di non contraddizione e di identità.
L’origine delle significazioni – comprese quelle riferite al reale e al razionale, come, ad es. cane e cerchio, così come all’origine della stessa designazione simbolica, in virtù della quale è messo il segno al posto dell’oggetto – è da rinvenire nell’immaginario radicale, come posizione inaugurale di immagini/figure/phantasmata sociali-storici a partire dai quali ogni relazione segnitiva, ogni legame, di per se stesso già istituito, tra significante e significato, acquistano un senso per la società che li ha posti in essere.
Questo ambito è rappresentato proprio dall’immaginario radicale, con cui va intesa la capacità originariamente formante e creatrice, all’opera nella società come immaginario anonimo e collettivo, e nell’individuo come immaginazione radicale.
La centralità dell’immaginario e dell’immagine si spiega in base all’indeterminatezza dell’essere: l’essere, referente ultimo del nostro linguaggio, delle nostre espressioni e finanche dei nostri desideri, è costitutivamente magmatico, stratificato in modo irregolare, e, in quanto tale, incapace di fornire un senso ultimo e definitivo alla nostra esistenza. L’immagine diviene, allora, il medium essenziale attraverso cui rapportarci al non-senso del reale.
Se l’essere è magma, si sottrae ad ogni pretesa di fornirne una comprensione ed una interpretazione esaustive ed implica la necessità di far ricorso ad una rete di significati, sistematicamente e coerentemente connessi tra loro da una determinata società. L’origine dell’ordine simbolico dei significati è, dunque, da rinvenire in una mancanza originaria e primordiale: quella di un accesso immediato e diretto all’essere, che rende vitale l’accesso mediato all’ambito delle significazioni immaginarie sociali per comunicare, agire, vivere in concerto con gli altri individui sociali.
4. La psiche come immaginazione radicale
Al bienno 1964-65 risale non solo l’elaborazione delle idee relative alla storia come creazione ex nihilo, alla società istituente e istituita, all’immaginario sociale, al sociale-storico come modo d’essere misconosciuto dal pensiero ereditato, bensì anche
Peso non secondario, nel passaggio di testimone dalla politica alla filosofia, ha avuto il riconoscimento che psicoanalisi e politica confluiscono sul terreno comune dell’autonomia dell’uomo. Infatti l’avvento del soggetto umano, in quanto soggetto autonomo, è ciò che caratterizza l’obiettivo del progetto psicoanalitico.
Per riflessività Castoriadis intende
Alla luce di ciò, solo in un’accezione errata potremmo considerare da un lato, la psicoanalisi come scienza del suo oggetto e, dall’altro, il suo oggetto come oggetto.
Tuttavia è accaduto che l’attività psicoanalitica procedesse di pari passo con una volontà di delucidare il suo oggetto in termini universali, finendo nella rete delle aporie che derivano dalla pretesa di formalizzare oggetti-non oggetti, tra i quali la psiche ribelle alle determinazioni della logica dell’identità e dell’insieme, a quelle del pensiero logico-formale.
La psicoanalisi si trova così a dover fare i conti con una sorta di sdoppiamento di sé su due piani: quello dell’analisi, dove l’individuo, il paziente rimane irriducibile e non formalizzabile, e quello della teoria dove non viene riconosciuta questa irriducibilità.
Nonostante queste aporie proprie del modello d’interpretazione psicoanalitica, Castoriadis se ne è servito come di un modello teorico di critica dell’intero quadro del pensiero ereditato, oltre che di "esplorazione" dell’individuo, per quanto riguarda il suo nucleo fondamentale: la monade psichica.
Merito di Freud e della psicoanalisi, in genere, è stato quello di aver riconosciuto il ruolo primario dell’immaginazione, sebbene quest’ultima sia stata colta all’opera solo nel fantasma.
Per fantasma della psiche si intende
In questo modo è stata occultata la creatività della psiche, il suo essere capacità originariamente formante a partire da nessun dato naturale. Il carattere originariamente "poietico" dell’immaginazione della psiche è stato appiattito sul modello di un evento di soddisfacimento accaduto realmente, appartenente, quindi, al passato effettivo della storia del soggetto psichico in questione.
Se lo stato di tranquillità psichica – cui Freud fa riferimento e nel quale ciò che era desiderato (rappresentato) era ipso facto realizzato in guisa allucinatoria – è stato psichico, allora esso esiste necessariamente come rappresentazione e la sua interruzione da parte di un bisogno interno o dall’urgenza vitale viene messo in discussione da questa stessarappresentazione. In altre parole, se la psiche è in primis immaginazione, essa crea immagini/figure/forme che non ripetono il già vissuto e che, di più, disconoscono l’urgenza vitale dei bisogni.
Quindi, più che mettere in scena un vissuto di soddisfacimento già effettivamente accaduto (in tal caso l’immaginazione della psiche sarebbe mero riflesso del reale), la psiche cerca di far ritorno ad uno stato di quiete psichica, di beatidudine, che è, a ben vedere, solo un’immagine elaborata in modo differito e retrospettivo dal desiderio della psiche medesima.
Questo stato primigenio, in quanto stato psichico, esiste necessariamente come rappresentazione, dove rappresentazione non significa ri-presentazione di uno stato effettivamente accaduto e precedente, bensì posizione inaugurale di una immagine, di una rappresentazione a partire da una fondamentale inexistentia del "percetto", di una fondamentale assenza di ciò che è percepito.
Quando Freud scrive, nella Metapsicologia, che solo in quanto la pulsione è ancorata ad una rappresentazione possiamo apprendere qualcosa di essa, egli si riferisce ad una rappresentazione di cui la pulsione necessita come delegato presso la psiche e che quest’ultima attinge dal fondo di una riserva di rappresentazioni originaria, primordiale.
In definitiva, è la psiche, come formazione e immaginazione, a presiedere ad ogni organizzazione della pulsione, anche della più primitiva.
5. Psiche e società
L’immagine di un’originaria pienezza mitica, da cui il desiderio della psiche presume di provenire e che il desiderio assume come proprio paradigma, modello a cui conformarsi, impedisce al desiderio stesso di aprirsi del tutto al tessuto dei valori istituiti, mettendo a repentaglio la sua stessa sopravvivenza.
Ciò che la psicoanalisi, a cominciare da Freud, ha ignorato, secondo Castoriadis, è stato il contenuto sociale-storico della sublimazione. Un unico e sempre uguale processo non può rendere ragione di istituzioni tanto diverse tra loro, quali il lavoro e l’ordine, il danaro e la pittura. È la società a rendere obbligatori per gli individui sociali quelli che divengono oggetti di sublimazione, con esclusione di altri. Non può esservi fabbricazione dell’individuo sociale, se non in quanto gli oggetti di sublimazione sono già stati istituiti dalla società istituente.
Nonostante il fatto che la socializzazione della psiche sia necessaria a che possa sopravvivere il suo supporto vivente e la psiche medesima, psiche e società rimangono irriducibili l’una all’altra.
La società, dal canto suo, si auto-istituisce sempre entro una chiusura, ovvero ogni società è questa e non un’altra istituzione, che fa essere questo e non un altro magma di significati immaginari, in questo e non in un altro modo.
Ciò non toglie che psiche e società siano in un rapporto di interdipendenza dell’una all’altra: infatti, da un lato, la creazione di un mondo di cose esiste perché c’è follia/creatività della psiche, dall’altro, è in virtù del fatto che siamo del tutto immersi nel sociale-storico, che possiamo mirare al di là di ogni istituzione, ad una verità altra da quella sancita ufficialmente.
All’interrogativo che verte sulla possibilità di rinvenire una valida alternativa all’opposizione tra creatività della psiche ed esigenze imperiose della realtà, tra attività psichica e passivo adeguamento della psiche alla realtà sociale, tra mondo privato e pubblico, tra patologia e normalità, Castoriadis risponde:
6. L’eredità di Cornelius Castoriadis
Il contributo fondamentale che la lezione propria di Castoriadis ha apportato all’intero quadro del pensiero filosofico occidentale verte, in ultima istanza, sulla necessità di guardare alla filosofia come a un fare pensante o a un pensiero storico, come a una teoresi mai scissa dalla prassi, che si commisuri all’istituzione sociale e che, allo stesso tempo, ne sia l’interrogazione permanente, mai paga di uno sguardo che si presuma fisso e definitivo sulle cose., sul mondo, sul significato di ciò che ha valore, di ciò che è vitale e irrinunciabile.
Certamente vitale e irrinunciabile è, altresì, avere certezze e verità come appigli sicuri che evitino il naufragio nel mare dell’a-sensato, di ciò che è avvertito come rischio e pericolo. Ma altrettanto vitale e irrinunciabile ha da essere la possibilità di sempre nuove aperture, di sempre nuovi investimenti affettivo-cognitivi su valori, verità, immagini altre, rinnovate o innovative rispetto a quelle oramai consolidatesi. E ciò vale anche per l’ambito del pensiero filosofico.
Se fosse possibile determinare in modo esaustivo l’essere del mondo e l’essere che noi siamo, la passione del conoscere si esaurirebbe nel pieno possesso dell’oggetto o della cosa, sottratta ad ogni possibilità di auto-alterazione e trasfigurazione di sé.
L’unico valore, che per Castoriadis deve rimanere immutato e deve essere salvaguardato e investito come imperituro, è il confronto con l’Alterità, sia essa rappresentata da società altredalla propria, da individui sociali o da soggetti psichici altri da quelli che noi siamo.
È in rapporto a questo valore che uomini e società sono chiamati a trasfigurarsi in vista di un altrove migliore e ciò è realizzabile grazie alla potenzialità immaginativa che ciascuno di essi serba in sé.
Presentificazione più evidente dell’insorgenza dell’Alterità, l’immaginario sociale e l’immaginazione individuale costituiscono un possesso che non può esaurirsi in se stesso, ma che si impone anche come un compito e una promessa di mutamento e trasformazione.
Note
[1]Paul Berman, Cornelius e l’eresia permanente, MicroMega, 4/1999, p. 256.[2] Prefazione all’edizione originale ne L’istituzione immaginaria della società, Bollati Boringhieri, Torino 1995, Traduzione di Fabio Ciaramelli e Fabrizio Nicolini, Introduzione di Pietro Barcellona, pp. XXXVII-XXXVIII.
[3] L’istituzione e l’immaginario [1965] ne L’enigma del soggetto. L’immaginario e le istituzioni, trad. it. di Currado, a cura di Fabio Ciaramelli, con postfazione di F. Ciaramelli, Dedalo, Bari 1998, pp. 53-54. Questo saggio costituisce il capitolo terzo della prima parte, non compresa nell’edizione italiana, deL’istituzione immaginaria della società.
[4] Prefazione dell’autore all’edizione originale, cit., p. XXXVIII.
[5] L’istituzione e l’immaginario [1965], cit., pag. 272.
[6] Potere, politica, autonomia, trad. di F. Ciaramelli, MicroMega, n.5/1989, pp. 145-146.
[7] L’istituzione immaginaria della società, cit., p. 81.
[8] Ibidem, p. 235.
[9] Ibidem, p. 106.
[10] Ibidem, p. 73.
[11] Ibidem, p. 43.
[12] La logica del magma in Volontà, 1/1992, p. 58.
[13] Il progetto dell’Autonomia ne L’enigma del soggetto, cit., p. 165.
[14] Ibidem, p. 119.
[15] Ibidem, p. 121.
[16] Ibidem, p. 100.
[17] Laplanche e Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, a cura di L. Mecacci e C. Puca, con prefazione di D. Lagache, Laterza, voll.2, Bari 1998, vol.I, p. 180.
[18] L’istituzione immaginaria della società, cit., p. 156.
[19] Ibidem, p. 155.
[20] Ibidem, p. 173.
[21] Istituzione della società e religione (1982) ne L’enigma del soggetto,cit., p. 9.
[22] L’istituzione immaginaria della società, cit., p. 193.
[23] Ibidem, p. 205.
[24] Ibidem, pp. 228-229.
[25] Passione e conoscenza, ne La passione del conoscere, ed. a cura di Lorena Preta, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 110.
FONTE:http://www.filosofico.net/ccastoriadis.htm
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione