Cosa succede dopo il guasto della Soyuz

ott 12, 2018 0 comments
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Di Emanuele Menietti
L’atterraggio di emergenza compiuto giovedì 11 ottobre dalla Soyuz – l’unico mezzo di trasporto per gli astronauti verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) – complicherà le attività sulla ISS e potrebbe portare a un suo temporaneo abbandono in attesa di verificare le cause dei malfunzionamenti. L’Agenzia spaziale russa, Roscosmos, ha già avviato indagini e analisi tecniche per capire che cosa sia andato storto subito dopo il lancio, ma potrebbero essere necessari mesi prima che si decida di far volare nuovamente gli astronauti con le Soyuz.
Lancio e atterraggio di emergenza
L’astronauta statunitense Nick Hague (NASA) e il cosmonauta russo Aleksey Ovchinin (Roscosmos) avrebbero dovuto raggiungere tre altri loro colleghi sulla ISS. Alle 10:40 (ora italiana) di giovedì sono regolarmente partiti a bordo della loro Soyuz dal Cosmodromo di Baikonur in Kazakistan, ma dopo pochi minuti di ascesa il razzo ha avuto un problema tecnico nella fase di separazione dei quattro motori, quelli più potenti per vincere la forza di gravità e spingere verso l’orbita la navicella, prima di staccarsi per alleggerirla e consentirle di proseguire l’ascesa. Il problema, che deve essere ancora chiarito, si è verificato quando la Soyuz si trovava a 50 chilometri di altitudine: il razzo non era nel giusto assetto e non aveva spinta sufficiente per continuare verso l’orbita.
La Soyuz subito dopo il lancio dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan: con Soyuz si definisce sia il razzo, sia la capsula posta alla sua sommità dove si trova l’equipaggio (NASA / Roscosmos)
I sistemi di sicurezza a bordo della Soyuz hanno immediatamente avviato la procedura per interrompere l’ascesa ed effettuare un rientro di emergenza. La capsula, che si trova sulla punta del razzo e che ospitava l’equipaggio, si è separata dal resto della Soyuz e si è nuovamente tuffata nell’atmosfera per tornare sulla Terra. Non essendoci alternative, ha seguito una traiettoria molto più ripida di quella solitamente utilizzata dagli astronauti quando tornano sul nostro pianeta, con notevoli sollecitazioni per i suoi ospiti. Nel punto di massimo stress della discesa, Hague o Ovchinin sono stati sottoposti a un’accelerazione di 6,7 G, pari cioè a quasi sette volte la forza di gravità terrestre.

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