Coronavirus, la crisi dell’europeismo e il coraggio cinese

mar 15, 2020 0 comments

Di Giusi Greta Di Cristina

Quel che sta accadendo in questi giorni, dinnanzi all’avanzata in Italia degli effetti dell’influenza da Covid-19 ha ormai superato i primi livelli, occupati ragionevolmente da insicurezze e paure, per lasciare spazio ad evidenti risacche politiche, economiche e, infine, ideologiche.
Il termine ideologia, messo al bando dal post Mani Pulite in Italia, ma saggiamente mai scalfito altrove, ha incredibilmente e inaspettatamente preso il passo nella discussione odierna in Italia fino ad accompagnare ogni riflessione rispetto all’evoluzione stessa della vicenda “virus”.
Durante le ultime concitate settimane il nostro Paese è stato colpito violentemente dal contagio: è aumentato in forma esponenziale il numero dei contagiati e anche quello dei malati, per lo più di fascia d’età alta a cui si è unito qualche soggetto giovane. Abbiamo visto la fuga di massa domenica scorsa, dopo che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva annunciato le restrizioni formali e il passaggio di alcune regioni a “zona rossa”: scene apocalittiche si sono registrate presso la stazione di Milano, dove migliaia di persone si sono riversate a comprare di corsa biglietti per tornare al sud dalla famiglie di origine. A nulla è valso il richiamo alla responsabilità e all’attenzione nei confronti proprio per le famiglie e residenti nelle regioni del Meridione d’Italia, che avrebbero potuto evitare l’escalation delle infezioni alle quali, purtroppo, stiamo assistendo. L’individualismo più sfrenato, insomma, come cifra autentica del momento.
L’Italia, al contrario di altri Paesi europei, si è caricata della responsabilità di agire, sebbene in ritardo e con ritrosia. Una ritrosia dovuta essenzialmente alla spinta della finanza e dei mercati, che mettono i soldi davanti del diritto alla salute. Anche in questo momento con l’intera nazione dichiarata zona rossa, non tutti i lavoratori possono rimanere a casa: molti sono stati già dichiarati in cassa integrazione, altri continuano a lavorare poiché lo Stato non ha garantito coperture economiche e rischiano di perdere il posto di lavoro.
È inevitabile che i destini economici dei cittadini interferiscano e si intersechino in una spirale disastrosa in un Paese che è totalmente dipendente dalle scelte comunitarie. E possiamo affermare che, a questo giro di boa, di Unione in questa Europa non ne abbiamo vista, anzi più sola di così l’Italia non è mai stata.
L’Unione Europea si è girata dall’altra parte, limitandosi a proclami di vicinanza e solidarietà, ma nessuna azione di emergenza reale è stata messa in campo: Ursula von der Leyen, la cui investitura a presidente della Commissione Europea ha siglato la nascita dell’asse politico Pd-M5S, ha fatto seguire a un video in italiano in cui esprime vicinanza e preoccupazione da parte di tutta l’Ue la decisione che l’Italia potesse riprendere le sue quote destinate ai Fondi Strutturali, ovviamente da rimpolpare in seguito, ad emergenza terminata.
Ma peggio ancora di von der Leyen ha fatto Christine Lagarde, presidente della BCE. Durante una intervista di due giorni fa un giornalista ha rivolto a Lagarde due quesiti, uno sulla possibilità di aiutare le banche a concedere prestiti attraverso disposizioni di sistemi di garanzia nazionali od europei, l’altro su quello che potrebbe fare la BCE dinnanzi a una impennata dello spread nei confronti di quei Paesi duramente colpiti dalla pandemia COVID-19, come l’Italia.
Per quel che concerne il primo quesito la presidente Lagarde ha così risposto: “ […] Voglio dire, è così che crediamo che i finanziamenti che stiamo mettendo in atto saranno i più efficienti. Ora, se ciò viene condotto a livello nazionale o a livello europeo, spetta ai responsabili politici decidere. Ciò che conta per noi è che venga messo in atto il prima possibile. Alcuni paesi hanno già preso provvedimenti o stanno muovendo passi in questa direzione. Sicuramente, per gli sforzi che ci stiamo impegnando a fare, spero certamente che lo facciano in fretta per garantire che il credito continui a fluire verso l’economia.”.
Rispetto alla seconda domanda, la presidente della BCE ha invece così risposto: “Il mio punto numero 2 ha a che fare più con un aumento dell’emissione di debiti a seconda dell’espansione fiscale che verrà determinata dai politici. Bene, saremo lì, come ho detto prima, usando la massima flessibilità, ma non siamo qui per chiudere gli spread. Questa non è la funzione o la missione della BCE. Ci sono altri strumenti per questo, e ci sono altri attori che si occupano di affrontare questi problemi”.
Insomma, tranquilli cittadini europei: per le banche faremo tutto quello che è necessario, auspicando il sostegno in questa operazione dei governi nazionali. Per i Paesi colpiti dal Coronavirus, al contrario non tocca alla BCE promuovere sostegno e prendersi la responsabilità di tenere sotto controllo la situazione per non lasciare che la borsa e la finanza facciano affari sulla pelle dei governi e dei cittadini sottoposti alla dura prova della pandemia.
A questa che è stata definita “una brutta prova di comunicazione” l’Italia ha tuonato indignata e non per bocca di personaggi dai quali ce lo si potrebbe pure aspettare – per ideologia, come Marco Rizzo – segretario generale del Partito Comunista che da sempre denuncia la falsa retorica di una unità europea mai esistita – o per opportunismo, come Matteo Salvini o Giorgia Meloni, che in questa Europa ci sguazzano eccome. Chi ha tuonato contro Lagarde è stato addirittura il presidente della Repubblica Mattarella, al quale sono seguiti rimproveri un po’ da tutti quelli che fino a ieri si sono sempre proclamati europeisti convinti, senza se e senza ma. La vicenda ha lasciato l’amaro in bocca ai membri nazionali del Pd che tentavano di giustificare il silenzio dell’Ue richiamando l’attenzione alla necessità di una Europa più presente nelle problematiche nazionali. È vero che dinnanzi alla eco causata da questa “impropria” affermazione della Lagarde l’Ue ha dovuto correre ai ripari assicurando all’Italia di allentare i vincoli del Patto di stabilità. Come dire, un contentino per spegnere il fuoco delle polemiche. Ma in verità l’Italia non è nuova a questo tipo di restrizioni né si può rimanere sconvolti dinnanzi alle affermazioni di Lagarde, frutto dell’attuale indirizzo politico ed economico dello strumento BCE e dell’intera Ue.
In queste lunghe settimane travagliate per il nostro Paese, in cui si è passati da un primo momento di misconoscimento del problema al riconoscimento e all’attuazione delle misure stringenti degli ultimi giorni, si è vissuto dentro un incubo, che in parte sta continuando probabilmente, ma di certo una qualche consapevolezza è venuta fuori. Tra queste la più forte e oramai non più occultabile è la sensazione di essere soli in mezzo a tanti che si dichiarano alleati ma che sono scomparsi davanti ad una difficoltà incredibilmente grande, difficile da affrontare e incerta negli sviluppi. Il Coronavirus è stato il banco di prova per una tenuta dei rapporti politici dentro l’Unione Europea che, ancora una volta, ha preferito sacrificarli sull’altare dei rapporti economici, anche questi a senso unico e sordi alle necessità di cittadini europei in trincea. Quantomeno di cittadini italiani in difficoltà. Va da sé che ci si chieda cosa accadrà quando Paesi più forti dovranno affrontare la medesima crisi. La Germania ha già dichiarato di voler mettere sul banco 550 miliardi per sostenere il Paese nell’immediato e nel futuro e le esperienze precedenti ci portano ad affermare con una certa tranquillità che la Germania potrà farlo senza che BCE o altri organismi frenino. Per l’Italia, al contrario, il Fondo Monetario Internazionale ha già sentenziato che serviranno cifre da capogiro che, ça va sans dire, dovrà essere lo Stato italiano a sborsare. Tradotto: i portafogli dei cittadini.

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