Usa, nelle mani delle corporation

mar 26, 2012 0 comments

Di Luca Galassi
Nel mese di febbraio il presidente Usa, Barack Obama, ha raccolto per la sua campagna elettorale45 milioni di dollari, facendo registrare un netto incremento rispetto alla somma incassata a gennaio, ovvero 29,1 milioni di dollari. Più contenute le donazioni agli esponenti repubblicani: a febbraio Mitt Romney ha ricevuto 11.5 milioni di dollari e Rick Santorum 9 milioni di dollari. Dietro queste cifre ci sono anche i finanziamenti delle corporazioni, vero ago della bilancia nel determinare l’esito delle elezioni presidenziali 2012.
L’assunto di fondo è che, quando una società investe in politica, è sempre per un tornaconto. Non un tornaconto politico, ma economico. Limitazioni legali all’esborso da parte delle corporation furono definitivamente eliminate nel 2010 dalla Corte Suprema, col risultato che oggi chiunque (fondazioni, associazioni, comitati, think tank, e appunto corporazioni) può investire qualsiasi somma in una causa politica.
La storia affonda le sue radici nella vertenza Citizens United-Commissione Elettorale del 2008. Con la sentenza, la Corte suprema volle tutelare il diritto dell’organizzazione conservatrice Citizens United a mandare in onda un documentario critico di Hillary Clinton, durante le elezioni del 2008. L’importanza del pronunciamento si percepì dalla reazione di Obama che, in un messaggio settimanale ai cittadini americani, parlò di un ‘attacco alla democrazia’ da parte dei giudici.
Solo un anno dopo, la spesa di gruppi ‘indipendenti’ come Citizens United crebbe dai 68,9 milioni di dollari del 2006 (mid-term elections) ai 294,2 milioni di dollari del 2010 (sempre midterm).
A causa della cattiva pubblicità guadagnata in passato, tuttavia, la maggior parte delle corporazioni decise di investire in forma anonima, utilizzando dei prestanome, spesso organizzazioni no-profit. Una pratica concessa dalla sezione 501 della legge. La sezione 527, invece, disciplina le donazioni nell’ambito della ‘regolare azione politica’, ovvero quelle dei comitati elettorali che devono rivelare i loro finanziatori.
Spesso, i messaggi televisivi sponsorizzati dalle corporazioni sono di tono negativo: il 75 percento, secondo il difensore civico di New York, Bill de Blasio, di quelli mandati in onda sotto la sezione 501, a fronte del 54 percento di quelli sotto la sezione 527.
Perché le corporazioni vogliono influenzare le elezioni? Perché paga. Il ritorno è sugli investimenti, sugli asset e sugli introiti derivanti dal governo. Secondo uno studio dell’Università del Tennessee, le compagnie che fanno business col governo sono anche quelle che spendono di più in attività di lobbying politico. Il valore economico – spiegano i ricercatori – dell’attività di lobbying è strettamente legato all’attività delle corporation. Alcuni dei maggiori donatori anonimi sono hedge funds e società di equity. Queste società hanno investito colossali somme per contrastare i senatori democratici che sostenevano tassazioni sui redditi finanziari.
Il rischio non è tanto che le elezioni del 2012 vengano comprate dagli interessi delle corporation. Occorrono milioni di dollari per avere un impatto a livello presidenziale (nella campagnia 2008 Obama e McCain raggranellarono un miliardo di dollari ciascuno). Il pericolo sta invece nella possibilità che le corporation più piccole comprino a suon di dollari centinaia, se non migliaia, di elezioni a livello statale e locale.
I proprietari di Casino tenteranno di influenzare le normative sul gioco d’azzardo. Compagnie petrolifere e del gas cercheranno di inserire i loro candidati nelle commissioni delle contee che decidiono le concessioni. Operatori scolastici proveranno a deviare in loro favore le elezioni per i consigli di amministrazione scolastici. E così via via, fino alle circoscrizioni locali. In modo del tutto segreto e anonimo. Good business, ma bad politics.

Da E-il Mensile

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