Di Erminia della Frattina
Ragazzi, che bella notizia! Finalmente dopo tanto pessimismo ecco un
raggio di sole: la potentissima centrale acquisti dell’Ikea sceglie di
congedare i fornitori asiatici e di affidare parte della sua produzione ai distretti italiani, soprattutto a quelli piemontesi.
Evviva, gli svedesi hanno capito il valore del made in Italy,
le capacità dei nostri lavoratori, la raffinatezza della nostra
tradizione artigianale…ma siamo sicuri che le cose stiano proprio così?
No, perché a pensarci bene viene un dubbio: non è che siamo semplicemente più economici dei cinesi,
dove il costo del lavoro negli ultimi tre anni ha fatto un balzo del
+20% tanto che le stesse aziende cinesi delocalizzano nelle aree
confinanti?
Non è che più che la pregiata artigianalità del Made in Italy, la
campagna acquisti fatta da Ikea per cercare nuovi fornitori abbia
premiato solo il miglior offerente, cioè quello con i costi di produzione e di manodopera più bassi? La multinazionale svedese (bontà sua) ha scelto 24 nuovi fornitori piemontesi,
distretti storici come San Maurizio d’Opaglio o Gozzano, che sono
risultati più flessibili (ahia!) rispetto alla lontana Malesia (dove si
aggiungono i costi di trasporto). In grado di produrre 30mila rubinetti
just in time “rispettando il capitolato e riducendo i costi”.
Certo, capiamoci: in tempi di crisi è pur sempre un’ottima notizia, ci
mancherebbe. Però il rischio è che si finisca a fare i cinesi d’Europa,
(s)vendendo prodotti finiti a basso costo e sacrificando magari diritti e
orari dei lavoratori.
Un esempio? Una percentuale altissima di cucine Ikea proviene da aziende
e aziendine del Veneto, seguono Friuli-Venezia Giulia e Lombardia.
Insomma nel Triveneto la multinazionale acquista più
che in Germania o nella stessa Svezia; un’opportunità per i distretti
“cucinieri” veneti illanguiditi dalla crisi. Non pensate alla Snaidero, a
Veneta cucine o a marchi noti: a Casale di Scodosia c’è un polo del
“mobile in stile”, quei mobili che compravano le nonne una volta nella
vita quando si sposavano, quelli con gli intarsi e i piedini barocchi.
Bene, ora non c’è più un tir da quelle parti la zona industriale è morta; quelli più bravi di loro vendono agli arabi, arredano appartamenti a Dubai.
E’ questo il vero Made in Italy o andrebbe rinnovato? Alcuni di loro ora fanno piccole forniture per l’Ikea. Ma chiediamoci: a che prezzo
queste aziendine si mettono a disposizione di un colosso del genere?
Lavorando sabato, domenica e festività varie, ignorando gli
straordinari, utilizzando dipendenti stagionali nei picchi produttivi e
lavoratori interinali che poi vengono lasciati a casa al primo calo
degli ordini?
E’ questo il Made in Italy che vogliamo?
Da il Fatto Quotidiano
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