L’Africa festeggia l’uscita di scena di Sarko

mag 8, 2012 0 comments
Di Francesca Dessì
Il Mali, come tutta l’Africa occidentale, ha accolto con sospiro di sollievo l’esito delle elezioni presidenziali, che hanno visto la vittoria di François Hollande e la sconfitta di Nicolas Sarkozy. Da Bamako ad Abidjan, da Dakar a Tripoli, sono in molti che hanno festeggiato l’uscita di scena di Sarkozy, considerato “un presidente sempre sul piede di guerra”. La sua politica di ingerenza negli affari interni dei Paesi africani, sfociata spesso in interventi militari con l’obiettivo di piazzare le società francesi, come Areva e Elf Total, ha destabilizzato e insanguinato negli ultimi cinque anni l’intera regione dell’Africa occidentale e non solo, vedi la Libia.
Ma con l’ascesa di Hollande, l’Africa non si illude che la “françafrique” possa finire. Ha infatti imparato la lezione dopo l’elezione di Barack Obama, l’uomo del cambiamento, alla Casa Bianca, che si è dimostrato alla pari di George W. Bush. Come scrive il giornale burkinabè Fasozine, “è finita l’epoca in cui si credeva che la vittoria della sinistra o della destra poteva cambiare in modo significativo le relazioni tra l’Occidente e l’Africa”. Allo stesso tempo, l’Africa chiede ad Hollande di porre rimedio ai danni causati da Sarkozy negli ultimi mesi, come ad esempio in Mali. È ormai comprovato che l’Eliseo abbia infiammato la ribellione tuareg del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla), che ha conquistato insieme al gruppo Ansar Edden il nord del Mali, e che stia esercitando una certa influenza sulle decisioni della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao – Ecowas). Di recente l’organismo africano invece di mobilitarsi per ripristinare l’ordine nelle regioni settentrionali, dove diversi gruppi armati stanno commettendo crimini contro l’umanità, continua a guardare verso Bamako, dove si è appena instaurato un governo di transizione.
Da una parte la Cedeao- Ecowas cerca il dialogo con i tuareg del Mnla e i vari gruppi che affollano il nord, dove c’è una grave emergenza umanitaria; dall’altra manda 600 soldati nella capitale maliana, dove la situazione è tranquilla. Ancora meno chiaro è chi voglia la testa del capitano Amadou Sanogo, capo dell’ex giunta, che lo scorso 30 gennaio è stato vittima di un attacco – da molto definito tentativo di golpe - dei paracadutisti della Guardia presidenziale. Secondo la ricostruzione fatta dal Journal du Mali, il tentativo dei berretti rossi aveva probabilmente per obiettivo l’eliminazione fisica di Sanogo, ma quest’ultimo avrebbe avuto informazioni sufficienti sul piano che veniva elaborato e sulla presenza di presunti mercenari stranieri – per lo più ivoriani e burkinabè - che avrebbero dato man forte ai 300 uomini della Guardia presidenziale.
Chi è che ha pagato i mercenari? Non è ancora chiaro, ma si fa strada l’ipotesi che dietro all’attacco militare ci sia la Francia e la Cedeao- Ecowas con l’intento di ritardare l’intervento nel nord e diffondere il panico a Bamako. Intanto, la situazione nelle regioni settentrionali, dove la Croce rossa internazionale ha aperto un corridoio umanitario, è sempre più confusa. Secondo France presse, al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) occupa “una posizione dominate a Gao, Kidal e Timbuctù, grazie alla sua alleanza con Ansar Eddine e all’arrivo nelle sue fila di combattenti tunisini, libici e marocchini”. Ancora più clamore ha suscitato la profanazione del mausoleo di Cheikh Sid Mahmoud ben Amar, uno dei 333 santi venerati a Timbuctù, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Lo reso noto il sito All Africa, secondo cui “quelli di Aqmi, appoggiati da Ansa Dine, hanno distrutto la tomba del santo Sidi Mahmoud Ben Amar. Hanno dato alle fiamme il mausoleo”. Notizia confermata dagli abitanti di Timbuctù che domenica sera hanno protestato contro la profanazione.
L’oltraggio segue quello di qualche giorno fa, quando i gruppi armati hanno cominciato a distruggere le statue che raffigurano Alfarouk, il mitico cavaliere protettore da secoli della “perla del deserto” e dei suoi abitanti. Sulla vicenda è intervenuto il governo di transizione che ha espresso “indignazione” condannando un atto che viola “i precetti dell’islam, religione di tolleranza”.

Da Rinascita

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