Nigeria: il micidiale gas flaring delle multinazionali del greggio

mag 8, 2012 0 comments
Di Luca Manes/ CRBM
Insieme alla Shell e alla Chevron, l’Eni è una delle oil corporation più attive in Nigeria, primo Paese esportatore di greggio dell’Africa sub-sahariana con una produzione di 2,2 milioni di barili al giorno. A dispetto della ricchezza del loro sottosuolo, le popolazioni dell’area del Delta del Niger vivono in condizioni di estrema povertà, alle prese con un crescente degrado ambientale e una costante militarizzazione del territorio. In Nigeria ogni giorno si registrano perdite di petrolio dagli oleodotti, mentre, nonostante una legge del 1979 e diversi pronunciamenti delle corti locali, la pratica del gas flaring (il bruciare in torcia il gas connesso al processo d’estrazione del greggio) continua a essere adottata senza nessuno scrupolo. Sull’intero territorio nazionale sono oltre 100 le torri che sprigionano in maniera perenne lingue di fuoco che sputano diossina, benzene, sulfuri e particolati vari. Tanto per fornire qualche dato, secondo delle Ong locali dei 168 miliardi di metri cubici di gas bruciati ogni anno al mondo, 23 (il 13 per cento) provengono dalla Nigeria. In termini di ossido di carbonio, parliamo di 400 milioni di tonnellate, ovvero il 25 per cento del consumo annuo di gas degli Stati Uniti. Le piogge acide conseguenza diretta del gas flaring sono tra le principali criticità di una situazione che ha ormai superato i livelli di guardia.
Basti pensare che lo scorso agosto un rapporto dell’agenzia ambientale delle Nazioni Unite, l’Unep (United Nations Environmental Programme) ha certificato che per il solo spicchio di Delta occupato dal popolo Ogoni serviranno 30 anni di bonifiche per riparare gli immensi danni causati dalla Shell.
Tra i casi più eclatanti esaminati dagli esperti dell’Onu c’è quello relativo alla comunità di Nisisioken Ogale, dove il livello del benzene, elemento altamente cancerogeno, eccede di 900 volte il limite previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il conto iniziale presentato alla oil corporation anglo-olandese ammonta a oltre un miliardo di dollari, ma le organizzazioni della società civile nigeriana parlano dell’esigenza di uno stanziamento di fondi per decine di miliardi per pulire l’intero Delta e mondarlo dalle conseguenze delle attività di tutte le multinazionali.
Tra queste ultime, come detto, c’è la compagnia del cane a sei zampe (per il 31 per cento ancora di proprietà statale), il cui operato nel sud della Nigeria durante l’assemblea degli azionisti in programma oggi a Roma è stato l’oggetto delle critiche di Godwin Ojo, direttore e cofondatore di Environmental Rights Action, tra le più importanti Ong del Paese africano.
“Nonostante le sue dichiarazioni pubbliche, l’Eni ha fatto poco o nulla per ridurre il gas flaring” ha dichiarato Godwin Ojo prima di entrare in assemblea. “Con la mia organizzazione negli ultimi mesi siamo stati in grado di visitare varie comunità impattate da sversamenti di impianti dell’Eni nello Stato di Bayelsa. Purtroppo nei loro confronti non sono state accordate compensazioni, né si è proceduto a bonificare i terreni e i corsi d’acqua inquinati. Per quanto tempo ancora bisognerà assistere a questo ecocidio senza che le compagnie intervengano” ha aggiunto Ojo.
Tale situazione continua ad alimentare lo scontento delle comunità, che inoltre lamentano la mancanza di aiuti e dialogo con l’Agip. Non a caso in Nigeria è in crescita il numero di persone e organizzazioni che chiedono lo stop alle trivellazioni e che il petrolio sia lasciato nel sottosuolo. Alle multinazionali, rimarrebbe solo il compito di dare inizio alle opere di bonifica. Prima che sia troppo tardi.

Da E-il Mensile

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