ISIS: il progetto politico espansionista, i finanziamenti e la forte macchina del consenso

feb 25, 2015 0 comments

L’infezione ISIS  origina dall’invasione americana dell’Iraq del 2003, quando  Abu Musab al Zarqawi  crea il nucleo iniziale,  al-Jamāʿat al-Tawḥīd wa al-Jihād. Passata attraverso varie denominazioni – oggi vuole essere solamente IS, Stato Islamico – è  stata allora ritenuta o raccontata come una delle tante sigle jihadiste, eventualmente utilizzabili per spostare equilibri di potere.
Nel 2006 l’organizzazione entra ufficialmente nella rete di Al Qaeda, aggiungendo la specificazione “in Iraq”.  Prontamente  Al Zarqawi viene ucciso da un bombardamento americano. Ucciso anche il successore Abu Omar al Baghdadi in uno scontro a fuoco con i soldati americani nel 2010. Subentra, e persiste fino a oggi, Abu Bakr Al Baghdadi.
Fatto curioso: Abu Bakr Al Baghdadi era ben noto agli americani che l’avevano tenuto prigioniero, dal 2004, per poi rilasciarlo nel 2009  “senza condizioni” su raccomandazione di una speciale Commissione. Come si vede, in tempo utile per assumere il comando dell’organizzazione ormai notoriamente alqaedista. All’ovvio stupore generale, le fonti americane offrono come giustificazione l’inesperienza del personale della Commissione.
Indubbiamente prendere cantonate è nell’ordine delle cose possibili, tuttavia la perplessità resta ragionevole; specialmente se fossero  autentiche le immagini che ritraggono il senatore John McCain in Siria nel 2013 con un gruppo di  jihadisti, ivi compreso  Al Baghdadi.
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  Di più: se fosse autentica la notizia che Al Baghdadi è stato addestrato dalla Cia e dal Mossad. Accusa banalissima, ci si può soffermare perché è targata Snowden  e  finora non risulta che  lo stesso Edward Snowden ne abbia negato l’autenticità.Dagli ambienti che si usa definire complottisti spunta la motivazione: gli Usa e Israele nel creare e/o potenziare  questa sigla jihadista avrebbero inteso attirare terroristi in un solo luogo e sotto un marchio (the hornet’s nest strategy, strategia nido di vespe) per proteggere  da infiltrazioni lo stato d’ Israele.
Al presente, Al Baghdadi si è autoproclamato Califfo, ha fondato lo Stato Islamico, IS, chiede obbedienza a un milione e duecentomila musulmani al mondo e ha organizzato sotto di sé un Consiglio i cui membri sono responsabili per specifiche zone geografiche e di attività.
I finanziamenti 
Oggi lo Stato Islamico è una lobby del crimine, con profitti diversificati secondo le zone geografiche assoggettate:  contrabbando petrolifero, controllo della produzione della droga, traffico di  organi umani, sequestri per estorsione, imposizione di tasse. Un quadro completo e straordinariamente preoccupante è nell’articolo del blog di Lorenzo Piersantelli,  dove si legge anche “E’ documentato che gran parte dei sussidi finanziari che la milizia percepisce provengono da tre Stati storicamente alleati con gli States: Kuwait, Qatar ed Arabia Saudita”.
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Il capitale iniziale, per così dire, proviene da quegli stessi paesi  che hanno istigato e manovrato le insurrezioni popolari delle “primavere arabe”, paesi connotati religiosamente come fondamentalisti. Nell’insieme la sensazione che si ricava è che, cresciuta in estensione e in potenza, cambiando via via appellativi ma restando sempre in lingua araba Da’ish, la IS di oggi sia prima di tutto un’ internazionale del crimine, la cui connotazione “religiosa” è strumento per l’espansione a partire da una determinata zona territoriale: i paesi arabi del medio oriente.
Il progetto politico e l’espansione
Il progetto politico ingloba la lotta all’Occidente che fu di Al Qaeda, ma  antepone a questo l’azione tesa a controllare il Medio Oriente per destabilizzarlo politicamente e teologicamente. Tappa successiva: unire sotto la bandiera nera di un Islam vissuto in chiave chiusa e fondamentalista il Medio Oriente, il Nord Africa, la penisola Iberica  e i Balcani.
Gran Califfato ISIS
Sotto il profilo teologico, la proposta dell’IS è in consonanza con il Wahabismo saudita, il che spiega la protezione di cui ha goduto da Ryad. Si connota, però, come una “riforma” purista che si riallaccia all’origine dell’eresia wahabita:  “Un Capo, Un Governo, Una moschea”. In altre parole, controllo totalitario sulle idee, le azioni, la religione.
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Da Iraq e Siria, sue roccaforti ormai, agisce verso il Libano; in Giordania e perfino in  Kuwait i Governi sanno dell’esistenza di cellule dormienti.
L’Arabia Saudita si aspetta ora un blowback della precedente politica di sostegno finanziario; secondo una gola profonda, disertore dall’IS, gli obiettivi a venire sarebbero Mecca e Medina. Per questa ragione i Sauditi hanno iniziato a finanziare a pioggia l’esercito libanese e le iniziative antiterrorismo dell’ONU.  Del resto molti Sauditi, pur di stretta osservanza dogmatica Wahabita sono preoccupati per le dottrine radicali dell’IS e stanno cominciando a mettere in discussione la politica seguita finora dalla monarchia; anche questo è un elemento di destabilizzazione politica mentre il regno è coinvolto in una difficile transizione monarchica.
Nell’ immagine in apertura dell’articolo, e ancor meglio in un’altra visibile nella Galleria fotografica, una mappa del Medio Oriente evidenzia in rosso le zone già controllate dall’IS. Ben visibile il corridoio che collega le milizie dislocate in Siria e in Iraq, ma la minaccia si sta ora spostando verso la Turchia, paese che negli anni scorsi lasciava socchiuse le frontiere per coloro che andavano ad ingrossare le fila dei combattenti contro Assad. “I confini erano spalancati. Li abbiamo usati per entrare e uscire facilmente dalla Turchia. Nessuno ci chiedeva niente, era facile portare armi in Siria” ha dichiarato a Reuters uno di loro. Secondo una fonte turca, la lista degli individui  sospetti cui è stato negato il visto toccava l’anno scorso quota 4 mila; se la tolleranza diverrà controllo e repressione, l’IS potrebbe classificarla come stato nemico e iniziare gli attacchi terroristici. Forse con questa prospettiva il 24 agosto  l’IS ha occupato una base aerea nel nord-est della Siria, tappa del percorso verso nord che potrebbe assicurare il controllo del valico di frontiera di Jarablus, mantenendo così la massima libertà nella circolazione delle armi.
Abu Bakr Al Baghdadi (video  ) si rivolge a tutti i musulmani del mondo,  li chiama a liberare la Siria e l’Iraq che “ora non appartengono ai siriani e agli iracheni”. Si rivolgeai combattenti  “La comunità islamica  guarda il vostro jihad con gli occhi della speranza, e voi avete fratelli ovunque nel mondo a cui sono inflitte ogni forma di tortura, il cui onore è violato, il cui sangue è versato”. Profetizza  “Se avrete fiducia, conquisterete Roma e il mondo intero, se Allah vuole“.
Non è il delirio di un ignorante, come molti vogliono credere, è la manipolazione delle emozioni a opera di un astuto che si rivolge agli ingenui: vellica l’idealismo e delinea un sogno eroico. Sono gli stessi tasti emotivi che resero possibili le crociate cristiane di secoli fa.
La liberazione di cui parla Al Baghdadi non è il riscatto da un nemico precisamente delineato, è  un riscatto da umiliazioni personali e, collettivamente, una  pretesa rivoluzionaria: imporre un nuovo ordine, sia pure denominato con la parola antica di Califfato.
Il reclutamento

Quanti sono i terroristi dello Stato islamico? I numeri variano secondo le fonti, scelgo la stima di  un  consulente dell’intelligence irachena: 100.000 “I membri dello Stato islamico si sono moltiplicati in modo drammaticamente  pericoloso. Avendo un’enorme quantità di armi e di soldi hanno fatto un boccone degli altri gruppi d’insorti sunniti“.  E poi: “Gli investigatori dell’ Onu sono in allarme per il crescente arruolamento di bambini, che spesso spuntano poi in campi di addestramento siriani.”
Gli stranieri sarebbero circa 20.000  provenienti  da 83 Paesi diversi. Una migrazione che evidenzia due questioni. La  capacità della leadership IS di sfruttare il web per raggiungere ogni parte del mondo. L’incapacità di molti paesi dell’Occidente nel motivare i giovani verso i principi cardine della democrazia, dei diritti umani, della gestione non conflittuale dei rapporti internazionali, perché la nostra società offre molto in termini pratici, ma non molti  ideali al di là del vivere quotidiano.
Degli americani arruolati qualcosa si sa; alcuni hanno account nei social media,  come il californiano Douglas McAuthur McCain, caduto in combattimento pochi giorni or sono, a detta della milizia che lo ha annunciato pubblicando la foto del suo passaporto.  L’account Twitter  @iamthetooth  dal 27 agosto non è più raggiungibile, l’ultimo post era un retweet“It takes a warrior to understand a warrior. Pray for ISIS.”
Risultati immagini per Douglas McAuthur McCain
Il silenzio è completo, invece, sui reclutati in India, il paese dove vive la seconda più numerosa comunità islamica e che non è stato esente in passato dal terrorismo interno. Il ritorno in patria dei combattenti  IS è una prospettiva agghiacciante.
L’Indonesia è la nazione a maggioranza musulmana più popolosa,  86%; nella sua Costituzione  non vi è riferimento a una religione nazionale e la libertà di culto è assicurata. Completa, quindi , la dissonanza con il radicalismo IS. Negli ultimi anni si è verificata l’insorgenza di forme di fondamentalismo islamico, che diventano preoccupanti con l’esplosione propagandistica bigotta dell’IS. Non occorrerebbe molto, un solo attentato spettacolare per far gridare alla persecuzione dei Cristiani,  che sono l’8% della popolazione? Nel passato storico dell’Indonesia c’è  lo spaventoso massacro di un milione di persone, quando gli USA aiutarono il colpo di stato di Suharto nel 1967; al tempo il target era individuato politicamente, i comunisti, oggi il fondamentalismo dell’IS offre come nemico tutte le etichette religiose, a partire dall’Islam che in Indonesia non opprime le altre confessioni.
Le fila si ingrossano anche, come affermava l’esperto iracheno,  con gli assorbimenti dalla galassia jihadista. E’del 27 agosto la notizia che il Lybia al-Battar Brigades  si è unito ai combattenti dell’IS nella provincia siriana di Hasaka: un triangolo di territorio abitato in prevalenza da Curdi,  incuneato fra i confini dell’Iraq e della Turchia; a ovest altri gruppi, insieme al potente Al Nusra, alleato intermittente di IS, già impegnano Israele sulle occupate Alture del Golan.
In alcuni video di propaganda l’esistenza del Califfato vuole rendersi evidente, compaiono giovani in divisa, simili a soldati regolari, che mostrano il documento d’identità rilasciato dallo Stato Islamico.
L’IS usa i media per attrarre e reclutare, così come li usa per terrorizzare: barbare esecuzioni di prigionieri, lunghe file di potenti mezzi corazzati, caroselli di auto con bandiere nere nelle città occupate. Nelle società occidentali che, più o meno tutte prediligono la spocchia dei vincitori, anche queste esibizioni di potenza possono attrarre gli insoddisfatti  e spingerli  ad ambire alla fusione nell’orda “vincente”.
L’altra faccia dell’IS: paternalismo prima, oppressione poi

Oltre alla faccia crudele, sanguinaria, declamatoria che raccontano i media, l’IS ne possiede un’altra ancora più temibile: il diabolico marketing del consenso presso le popolazioni da fidelizzare.
L’assai pregevole reportage “Meeting ISIL: PressTV goes deep inside the terrorist group, girato in Siria e in Iraq, segue passo passo la tattica con cui i miliziani si insinuano, prima “bonariamente”,  fra le popolazioni  dei territori conquistati.
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Le parole d’ordine e gli slogan sono veri e propri comandi: “no al secolarismo”“chi vuol prendere la via dell’inferno sceglie la democrazia”, ma inizialmente non sono imposti con il mitra. Vengono proposti con riunioni  sotto un tendone, come in una delle nostre sagre di paese. Musica, tenere attenzioni per bambini, l’ospite d’onore straniero, che racconta di aver lasciato il suo paese (opportunamente coperto di critiche) per venire a “costruire il Califfato”. Poi il discorso teso a infiammare i cuori: il capo milizia, per l’occasione nella parte di  conduttore della serata con la medesima gestualità e il fare ammiccante di un anchorman televisivo: “Mi vergogno quando vedo gente che viene dall’Afghanistan, dalla Finlandia, dall’Australia, dal Giappone.. e qui c’è chi non fa niente”.
Ma contano di più le riunioni, condotte con un apparente tono deferente, con i capi tribù; conquistarli alla causa significa avere in mano un intero paese. Prima avvertenza, rassicurare. All’ingenua domanda su  chi comanderà quando saranno parte dello Stato Islamico, “Voi governerete il vostro paese, metteremo una straniero solo nei casi in cui non ci sia nessuno qualificato”.

Secondo: tessere legami affettivi che assicurino lealtà e connivenza. Ogni capo tribù è lusingato che la figlia vada in sposa  a uno di questi combattenti dal glorioso futuro.
Terzo: il cerimoniale. La gente, o meglio i maschi da quel che si vede nel film, è chiamata al giuramento: l’applicante fa eco alle parole del capo della milizia in veste officiante e  tutto è sigillato da un abbraccio finale. Rammenta l’affiliazione a certe sette pseudo-religiose americane.
Quarto: l’opera d’incantamento del corpaccione sociale. L’IS s’insinua nelle carenze basilari: produce  pane  e lo rivende a prezzo politico, distribuisce generi alimentari, benzina, gas, medicine, apre scuole per i bambini.  Cosa c’è di più convincente per della gente povera o impoverita da anni di guerra civile?
Il progetto politico, dal modo "populista", improvvisamente si volge al modo terrificante e oppressivo. La medesima modalità degli strozzini, dei mafiosi, dei pusher:  prima dare, poi passare all’incasso di cento volte tanto. S’instaura il monopolio e si procede al razionamento  dei generi di prima necessità. Si punisce  con la morte immediata anche solo un vago sospetto di ribellione. Si priva la vita di qualsiasi certezza; il film mostra una tecnica d’inganno praticata in Iraq. In piena notte terroristi in divisa da soldati dell’esercito iracheno bussano alla porta di casa, si fanno aprire, irrompono, esigono bruscamente i documenti, da questi comprendono quali informazioni possono ottenere; a soddisfazione raggiunta svelano la propria identità e uccidono.

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