I misteri isiaci

giu 13, 2015 0 comments


http://www.tanogabo.it/mitologia/egizia/misteri_isiaci.htm

I misteri isiaci restano i piu' importanti e segreti di Neapolis. Iside era identificata nella luna e solo conoscendo la forza trascinante dei riti lunari praticati per lungo tempo dagli Alessandrini di Napoli - rituali notturni legati al nascere e al tramontare della luna - si può capire il grande amore dei napoletani per la luna e per la notte. Un'antica tradizione indica nei ruderi di una villa romana a Marechiaro (il Palazzo degli Spiriti) e a Posillipo (La scuola degli Spiriti) i luoghi di accadimenti misteriosi e di presenze notturne , che si testimoniano nei nomi stessi che la tradizione ha tramandato, grazie alla suola "spiritica" napoletana che operò delle evocazioni proprio in quei ruderi ove erano presenti quelle misteriose forze magnetiche che li caratterizzavano. Sposa e sorella di Osiride, associata ai suoi dolori e alla sua gloria è Iside, la dea più popolare dell’Egitto, nota nel mondo ellenistico anche più dello stesso Osiride. Non è agevole tracciare il suo profilo originale poiché nel mito osiriano la troviamo già scolpita a caratteri profondamente umani: sposa fedele, madre sollecita, benefattrice dell’Egitto. Essa sembra una dea della natura feconda la cui influenza si fa sentire su l’uomo, su gli animali e su le piante. Ma la sua fecondità non è selvaggiamente esuberante come quella della Grande Madre anatolica, bensì disciplinata dai doveri della convivenza sociale; il che la ravvicina piuttosto al tipo di Demetra, ciò che gli antichi avevano già rilevato. Ma ove si consideri che i misteri isiaci sono sostanzialmente fondati sul rito osiriano, il quale è un rito di morte e di risurrezione dell’individuo per virtù di certe pratiche di carattere religioso-magico, si sarà più facilmente indotti a cercare in esso la chiave esplicativa della enigmatica e discussa formola apuleiana. Apuleio dice di aver raggiunto il confine della morte, confine posto nell’emisfero celeste ch’è al disotto del limite dell’orizzonte e che il pio credente egizio credeva di percorrere su la barca del sole, dopo esser passato da questa vita ricevendo tutti i riti funerari a somiglianza di Osiride. Gli elementi che egli attraversa, dopo aver varcato il limitare di Proserpina ossia la porta dell’Ade (od Amenti), sono quelli cosmici, che circondano il nostro globo oltrepassati i quali egli raggiunge tutti gli dei superi ed inferi – rappresentati forse da freschi murali o da figurazioni sacre di qualsiasi materia e foggia – e li adora da vicino, massimo tra tutti il sole (Osiride-sole) al quale egli è assimilato in virtù dell’iniziazione e della visione e in figura del quale egli sarà il giorno appresso adorato dai suoi correligionari. Tanto più appare plausibile questa interpretazione in quanto un altro passo di Apuleio sembra esplicitamente confermarla. A lui che sollecitava ardentemente la sua iniziazione il sacerdote osserva che "le chiostre del mondo infero e le porte della salvazione stanno nelle mani della dea e l’iniziazione stessa vien celebrata a guisa di una morte volontaria e di una gratuita salvezza: in quanto, coloro che trascorso il tempo della vita si trovano già al limite della morte, la dea stessa suole indicarli come quelli cui possono con sicurezza affidarsi i grandi segreti della religione e che, in qualche modo rinati per sua provvidenza, son da essa affidati ad una nuova via di salute". Le quali parole significano assai chiaramente che l’iniziazione isiaca è praticata a guisa di una morte volontaria, cui segue la resurrezione per ministero della dea, risurrezione che è sicuro pegno di salvezza attraverso la nuova via nella quale l’iniziato si è posto. La diffusione dei misteri egiziani fuori della loro terra d’origine è una luminosa prova della possente. loro vitalità, sopratutto dopo il travestimento alla greca che li rese accessibili, come lingua e come costume, a tutto il bacino mediterraneo. Essi seguono la diaspora mercantile che sciama da Alessandria verso tutti i porti del mare interno, di guisa che non v’è quasi scalo, in Oriente e in Occidente, che non abbia il suo tempio isiaco. Il Pireo lo riceve fin dal sec. IV, Atene nel 270, come suggello dell’aiuto recato da Tolemeo Filadelfo alla Grecia contro la signoria macedone; Orcomeno e Cheronea in Beozia verso il 216, dove Iside e Serapide diventano il mezzo sacro-giuridico dell’emancipazione degli schiavi che si considerano come donati e dedicati ad essi; Delo, capitale politico-religiosa delle Cicladi, che alimentarono durante il secolo terzo intense relazioni con l’Egitto, vide sorgere sul suo suolo un grandioso santuario isiaco. Anche la costa ionica ebbe numerosi e vasti santuari. In Italia, già fin da verso il 105, abbiamo gli Isei di Pompei e di Pozzuoli e appunto dalla regione campana il culto isiaco deve esser penetrato in Roma dove verso l’80 ai tempi di Silla già era costituita una confraternita di Pastofori a testimonianza di Apuleio. tanogabo I grandi amori a volte ritornano. E’ vero nella vita quanto nella storia, se pensiamo per esempio all’“attrazione fatale” che l’Egitto e la sua cultura hanno esercitato sull’Italia e, in particolare, la Campania prima nell’età della colonizzazione greca, poi in età ellenistica ed imperiale, fino ad arrivare al violentissimo “ritorno di fiamma” dell’evo moderno che si registra tra Settecento e Ottocento. A questa particolarissima liaison tra sponde contrapposte del Mediterraneo è dedicata “Egittomania. Iside e il mistero”, mostra in corso al Museo archeologico nazionale di Napoli dal 12 ottobre al 26 febbraio 2007. Non è un caso che il percorso espositivo, curato da Stefano De Caro, si apra con il tema delle origini dei contatti tra Egitto e Campania nel IX secolo a.C. All’inizio di quel periodo, definito Orientalizzante dagli studiosi, la penisola italiana fu investita e trasformata da due travolgenti fenomeni: la colonizzazione greca e il commercio fenicio. Nell’ambito di tali traffici commerciali, accanto a preziose mercanzie in oro, argento, bronzo, avorio, oltre a vini e tessuti raffinati, arrivarono in Campania numerosi “aegyptiaca”, autentici o di imitazione: amuleti egizi in forma di scarabei, collane, pendagli e statuette in faience, argento, ambra e pasta vitrea. La medicina egizia includeva aspetti magici e religiosi con l’uso di amuleti, riproducenti divinità e simboli sacri, da indossare a difesa della persona, e in particolare delle donne e dei bambini, in considerazione dell’alta mortalità per malattie e per parto. A parte gli scarabei, anche le collane “ad occhi” avevano un forte valore amuletico per le credenze sul valore ambivalente dell’occhio (“buono” e “cattivo”), che tanto fecero presa sugli indigeni della Campania. Ma per i già piuttosto razionali greci di età arcaica della Campania, gli amuleti erano comunque espressione di una cultura “barbara”, da respingere ufficialmente e da relegare semmai alla sfera della superstizione privata. Lo provano i numerosi reperti “esotici”, rinvenuti in corredi tombali di Capua, Cuma, Pithecusa (l’odierna Ischia) e di altri centri campani (di cui si espone in mostra una selezione), che avevano la funzione di assicurare protezione magica al defunto nell’aldilà, secondo le credenze egizie. Dopo questo inizio vivace, la relazione tra Egitto e Campania conobbe una lunga stasi durata dal VI secolo a.C. fino al periodo ellenistico. In età romana la presenza di marinai e commercianti alessandrini nei porti della Campania, ed in primis a Pozzuoli, favorì l’introduzione dei culti egiziani in Campania: tra questi quello di Iside, dea lunare che offriva protezione nella vita quotidiana e sopravvivenza nella vita ultraterrena, sembra essere stato il primo in ordine di tempo e di importanza, tanto diffuso da divenire il simbolo dell’Egitto. Il cuore pulsante della mostra è costituito proprio dalle attestazioni del culto di Iside nei Campi Flegrei (con materiali di recente ritrovamento presentati per la prima volta al pubblico), a Pompei, Ercolano, Napoli e Benevento, sede, quest’ultima, di un santuario con una delle maggiori concentrazioni di reperti egiziani ed egittizzanti fuori dall’Egitto, che per la prima volta escono nella loro totalità dal locale Museo del Sannio. Protagonista indiscusso del percorso di mostra è la ricchissima documentazione del tempio di Iside di Pompei, costruito nel II secolo a.C. e probabile “prodotto” dei rapporti commerciali tra Pompei e gli empori dell’Oriente, primo fra tutti quello di Delo: splendidi affreschi, sculture e strumenti di culto ricostruiscono la magica atmosfera del tempio. Al di fuori dei santuari veri e propri, numerosi ritrovamenti di materiali ricollegabili ad Iside documentano la capillare diffusione del culto, anche in ambito privato, tra gli abitanti della Campania agli inizi dell’Impero. Ma i legami tra la Campania e l’Egitto in età romana non si limitarono al culto di Iside, di Serapide e di Arpocrate. In seguito alla conquista dell’Egitto da parte di Augusto, si diffuse infatti, sotto l’impulso della corte imperiale di Roma, l’egittomania: una vera e propria moda egittizzante pervase le pitture delle case di Pompei ed Ercolano, le decorazioni scultoree di mobili e giardini, suppellettili e monili. Quindi l’ultimo “ritorno di fiamma”: in età moderna, il rinvenimento del tempio di Iside a Pompei, a partire dal 1776, fece conoscere per la prima volta un tempio egiziano completo delle strutture, delle decorazioni e dell’arredo. Il giovane Mozart, che nel 1770 visitò Pompei, venne attirato dal tempio, unico santuario isiaco fuori dalla valle del Nilo, al punto da trarne ispirazione per la composizione del Flauto Magico: immagini di bozzetti e disegni originali ripropongono in mostra le scenografie delle prime rappresentazioni dell’opera, ispirate al tempio pompeiano. Anche a seguito della “riscoperta” archeologica dell’Egitto, “lo stile egizio”, il Retour d’Egypte, si diffuse ovunque: la produzione artigianale, artistica ed architettonica della Campania nel Settecento e Ottocento ne vennero molto influenzate, come testimoniano ancora oggi sfingi, obelischi e vasi sparsi in giro per Napoli e altre città campane. Una selezione di splendide ceramiche della Real Fabbrica partenopea, dipinti, bozzetti e sculture chiudono il percorso di mostra, a dimostrazione della persistenza di un filo sottile che lega ancora idealmente la Campania e l’Egitto in età moderna.

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