Il crollo della sinistra europea

mag 22, 2018 0 comments
Martin Schulz e Emmanuel Macron (Getty)

Di Francesco Boezi

Il modello partitico socialdemocratico ha raggiunto il punto più basso della sua storia. In Europa proliferano i cosiddetti “populismi”. Gli operai, il ceto medio, gli statali: le categorie politiche tradizionalmente ascrivibili a quell’universo politico, cercano risposte diverse, più pragmatiche, alle domande di sempre. 


Gli elettori che abitano nelle periferie delle grandi città si sentono abbandonati. I “centri metropolitani”, le concentrazioni cittadine in cui vengono governati i processi della globalizzazione, sono gli unici luoghi dove la sinistra europea continua a mietere consensi. A dirlo sono i flussi elettorali. L’establishment neoliberal, come segnalato da Cristopher Lasch nel suo La rivolta delle élite, è “slegata” dai processi produttivi, dal “sentore popolare” e dalle priorità di quelli che erano soliti andare a votare con il garofano sul cannoncino della camicia. L’appiattimento sull’economia finanziarizzata non ha pagato. 
Non si tratta di casi isolati. Il collasso elettorale interessa l’intero territorio coperto dall’Unione europea. La Francia si è dovuta “inventare”  Emmanuel Macron per impedire al Front National di salire al governo. Altrimenti, con i soli partiti tradizionali in campo, sarebbe stato un trionfo lepenista targato Marine. Gerhard Schröder doveva riformare il modello di stato sociale tedesco. La sua creatura politica è stata “costretta” a un’alleanza di governo con la Merkel, una nemesi, dopo aver fatto registrare il peggior risultato elettorale dalla fine della seconda guerra mondiale. L’artefice di questo disastro ha un nome e cognome: Martin Schultz
Benoit Hamon, il successore di Hollande per le presidenziali francesi, è arrivato quinto: 6% dei consensi. Alle successive elezioni per l’Assemblea Nazionale, il Ps ha preso il 7% dei voti: venti punti in meno rispetto al  precedente elettorale per Parlamento transalpino. Parte del consenso perso è finito nelle “sacche” di En Marche! Il partito di Macron, però, ha poco a che fare con le piattaforme socialdemocratiche. Un partito liquido, che guarda più al centro che a sinistra. Stando alla definizione di Giovanni Sartori, si potrebbe parlare di “partito pigliatutto”.  Gli elettori di sinistra si sono rifugiati per lo più in Jean – Luc Mélenchon e nella sua “France Insoumise”. Segno di come la questione del capitale, riletta in chiave marxista, sia percepita come ancora attuale. 
La storia, quella che per Francis Fukuyama doveva essere finita con il trionfo del modello neoliberale capitalista, si è “rimessa in moto”. Lo stesso autore della tesi in questione ha ammesso di essersi sbagliato. In alcune nazioni i partiti socialdemocratici hanno sfiorato percentuali da prefisso telefonico. Nei Paesi Bassi, il partito di riferimento dei socialdemocratici ha perso diciannove punti. In Repubblica Ceca, tredici. La Grecia, durante le fasi più calde crisi economica, ha assistito alla quasi totale scomparsa di Pasok. Per comprendere i perché serve, ancora una volta, citare Cristopher Lasch.
La sinistra, ha scritto il sociologo statunitense, non parla più attraverso il senso comune. Più nello specifico: “Ha finito anzi per vedere nel senso comune – nella saggezza e nei costumi tradizionali della comunità – un ostacolo al progresso e all’illuminismo. Dato che identifica la tradizione con il pregiudizio, è ormai incapace di parlare con la gente ordinaria in un linguaggio che questa possa essere in grado di capire”. Hillary Clinton, uscendo per un attimo dai confini dell’Unione europeo, è un esempio abbastanza esplicativo dell’assunto di Lasch. La vittoria di Donald Trump è la conseguenza più eclatante e la dimostrazione più concreta. 

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