Violate le difese del Giappone: cosa rivela la guerra hacker della Cina

ago 8, 2023 0 comments


Di Andrea Muratore

Nel 2020 gli Stati Uniti hanno rilevato diverse infiltrazioni di hacker militari cinesi nelle infrastrutture digitali critiche con cui l’apparato di sicurezza e difesa del Giappone, principale alleato di Washington in Estremo Oriente, gestiva comunicazioni riservate tra comandi e unità. A rivelarlo in un’inchiesta esclusiva è il Washington Post, che in un articolo firmato da Ellen Nakashima dà conto di quanto scoperto dalla National Security Agency (Nsa), la principale agenzia di spionaggio Usa dedita alla gestione delle comunicazioni cifrate.

“Nell’autunno del 2020”, nota Nakashima, “le cyberspie dell’Esercito Popolare di Liberazione si erano fatte strada nei sistemi informatici più sensibili del Giappone” e i tecnici americani si sono accorti che “avevano un accesso profondo e persistente e sembravano essere alla ricerca di qualsiasi cosa su cui potessero mettere le mani”, dai piani operativi delle forze armate nipponiche ai progetti per l’espansione del comparto militare del Paese promosso dall’ex primo ministro Shinzo Abe e continuato dai successori Yoshihide Suga e Fumio Kishida.

“La penetrazione del 2020 è stata così inquietante che il generale Paul Nakasone, capo della Nsa e del Cyber Command degli Stati Uniti, e Matthew Pottinger, che all’epoca era vice consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, corsero a Tokyo”, sottolinea il Washington Post. Si era allora nella fase post-elezioni: nonostante un confronto franco e serrato, la corsa di Donald Trump a cercare di ribaltare l’esito elettorale e la sconfitta contro Joe Biden assorbì tutte le energie degli apparati securitari Usa facendo disperdere gli sforzi per aiutare Tokyo a reagire alla penetrazione di Pechino. Solo nell’ultimo biennio, scrive Nakashima, Washington ha sostenuto Tokyo a potenziare la sua capacità di cyber-resilience, ovvero la tenuta dei sistemi informatici in caso di compromissione di un centro operativo, e cyber-defence.

Si nota in questo caso una proiezione duale dell’Nsa e del Cyber Command, capace di gestire di fatto anche le falle securitarie dei sistemi informatici e cybernetici dei Paesi alleati degli Usa. Un dato di fatto che non può che far riferimento alla capacità dell’Nsa stessa di penetrare, prima di tutte le altre, le infrastrutture critiche degli Stati alleati a Washington, come i casi dei programmi di sorveglianza di massa Echeon e Prism hanno reso palese al mondo. Anche lo spionaggio cyber diventa un asset geopolitico: ogni potenza lo tollera quando non danneggia la propria sicurezza nazionale. Washington lo pratica, comprensibilmente, da anni con capacità di proiezione globale. Ma sta iniziando a tracciare delle linee rosse contro infiltrazioni nemiche ritenute minacciose quali quelle di Pechino.

Tokyo, che WikiLeaks nel 2015 ha segnalato essere inserita nei bersagli dello spionaggio dell’Nsa con trentacinque obiettivi governativi diversi, si è però fidata degli avvertimenti Usa, principalmente per iniziativa del consigliere per la sicurezza nazionale di Suga e Kishida, Takeo Akiba, tra i massimi funzionari nipponici che avevano sotto gli occhi la necessità di una scelta di campo tra l’assertività cinese e l’Occidente. “Tokyo ha iniziato a lavorare su una nuova strategia informatica, che ha cercato di rafforzare la spesa e il personale e allineare gli standard di sicurezza informatica con i benchmark statunitensi e internazionali”, racconta Nakashima. Si è trattato del primo episodio di cooperazione tanto ramificata e profonda tra branche della sicurezza nazionale giapponese e gli omologhi statunitensi.

Tra il 2022 e il 2023 il Giappone ha di fatto ampliato al cyberspazio il dominio di pertinenza della sua strategia di sicurezza nazionale, in relativo ritardo rispetto a buona parte dei partner del G7 e dei Paesi Nato ma in tempo per fare i conti con un’evoluzione securitaria che ormai vede il quinto dominio del cyber essere decisivo quanto quelli di terra, mare, aria e spazio nel definire minacce caleidoscopiche alla sicurezza delle nazioni. La strutturazione di un Cyber Command giapponese e l’ampliamento da mille a 4mila persone degli effettivi militari dediti alle tecnologie di frontiera è stata la conseguenza diretta di questa programmazione. Il Giappone si sta incamminando sul terreno della guerra cyber e potrà in futuro gettare sulla bilancia tutto il suo peso tecnologico e industriale. Resta però almeno un vincolo operativo da capire.

La strategia di sicurezza nazionale nipponica, infatti, è ancora vincolata al presupposto pacifista e non interventista, perlomeno nella forma. Il Giappone ad oggi non ha gli strumenti legali per costruire una sua Nsa, ovvero un’agenzia capace anche di operazioni cyber offensive capaci spesso di prevenire penetrazioni ostili in un terreno asimmetrico ove attendere a pié fermo gli attacchi informatici rivali rischia di esporre a manovre aggiranti. Il Global Disinformation Lab dell’Università di Austin, in Texas, ha scritto sul suo sito che “le esperienze statunitensi e giapponesi hanno entrambe dimostrato che una postura cibernetica puramente difensiva è inadeguata a scoraggiare attività informatiche dannose. Non sorprende, quindi, che il Giappone abbia recentemente adottato modifiche per consentire una difesa più attiva anche nel cyberspazio, anche se ancora una volta il significato esatto della difesa attiva nel contesto legale del Giappone rimane ambiguo”.

Vincoli legali e pratici spesso cadono alla prova dei fatti: Paesi come la Cina, dotati di regole di ingaggio molto più rudimentali e assertive, nel frattempo imperversano nei sistemi informatici occidentali, a un passo dagli arcana imperii degli Usa e dei loro alleati. E come dimostra l’ondata di casi di recente scoperta, è difficile fare un calcolo dei sistemi e dei dati potenzialmente compromessi da queste manovre di guerra asimmetriche. Vale per il Giappone e anche per gli stessi Usa, che non possono dirsi pienamente al sicuro.

FONTE: https://it.insideover.com/tecnologia/violate-le-difese-del-giappone-cosa-rivela-la-guerra-hacker-della-cina.html

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