Di Massimo Fini
Barack Obama, premio Nobel per la Pace, ha dichiarato di “non escludere un attacco militare all’Iran”. Il presidente israeliano Shimon Peres, premio Nobel per la Pace, ha affermato: “L’attacco all’Iran è sempre più vicino”. Perché non diamo anche un bel premio Nobel per la Pace, alla memoria, al vecchio Adolf Hitler?
Quelle di Obama e di Peres non sono infatti parole al vento. Ai primi di
novembre il giornalista israeliano Nahum Barnea, solitamente ben
informato, ha pubblicato i piani dettagliati degli attacchi che americani, israeliani e inglesi si
appresterebbero a sferrare contro l’Iran. Il governo britannico avrebbe
garantito a Obama sottomarini, missili Tomahawk e, all’occorrenza,
l’impiego di forze speciali sul terreno. Queste notizie sono state
riprese dal Guardian e mai smentite.
In quegli stessi giorni nella base Nato di Decimomannu,
in Sardegna, sei squadroni di bombardieri israeliani simulavano un
attacco a Teheran. Gli israeliani sembrano infatti intenzionati ad
attaccare l’Iran anche da soli. Per ora lo hanno fatto al dettaglio e al
coperto dei servizi segreti. Tre scienziati iraniani, che lavoravano al
nucleare civile, sono stati assassinati da un commando
del Mossad in motocicletta (che putiferio sarebbe successo se questo
terrorismo di Stato fosse stato opera di Teheran contro cittadini
israeliani o di qualsiasi altro Paese occidentale?).
Che esistessero questi piani di aggressione era noto da tempo, almeno da
un paio di anni. La novità è la partecipazione degli inglesi e il
tentativo di coinvolgervi olandesi e tedeschi (che han detto di no).
Si vuol ripetere con l’Iran ciò che si è fatto con la Libia? Se il progetto fosse questo sarebbe folle. L’Iran non è la Libia.
È un grande e colto Paese, di cento milioni di abitanti, armato
modernamente e con ottime relazioni con Russia e Cina. Si conta forse,
come in Libia, sul dissenso interno che indubbiamente esiste, anche se
in proporzioni molto minori di quelle sbandierate in occidente? Allora
vuol dire che non si conosce quel popolo.
Gli iraniani si sentono innanzitutto dei persiani e, in questo senso,
hanno un sentimento nazionale fortissimo (mi ricordo che quando ero a
Teheran un pasdaran che aveva combattuto lo Scià mi disse: “Eppure non riesco a odiarlo fino in fondo perché era comunque un persiano”). Un attacco militare all’Iran ricompatterebbe intorno ad Ahmadinejad anche i suoi nemici più acerrimi.
Inoltre farebbe saltare il tappo del radicalismo islamico,
finora contenuto a stento dai rispettivi regimi, in tutti i paesi
musulmani i cui governi sono alleati dell’Occidente, dall’Egitto alla
Giordania al Marocco.
Il pretesto per l’attacco verrebbe dal recente rapporto dell’Aiea, l’agenzia dell’Onu per il controllo del nucleare.
Ma questo rapporto non contiene nulla di nuovo rispetto ai precedenti,
dice solo che l’Iran ha una quantità di uranio arricchito per cui
potenzialmente potrebbe costruirsi l’atomica. Ma ciò non vuol dire
affatto che ne abbia l’intenzione e non piuttosto quella di spalmare
l’uranio su più centrifughe rimanendo in quel 20 % di arricchimento
necessario e sufficiente per gli usi civili e medici del nucleare (per
la Bomba bisogna arrivare al 90 %). E nessuna ispezione
dell’Aiea ha mai accertato che nei loro siti nucleari gli iraniani
abbiano superato quel limite. Si dice però che Teheran potrebbe avere
dei siti nascosti, sfuggiti agli ispettori dell’Onu.
Con un simile processo alle intenzioni si potrebbe dichiarare guerra a chiunque, anche alle Isole Fær Øer. Possibile che l’esperienza irachena
(le famose ‘armi di distruzione di massa’ che non c’erano) non abbia
insegnato all’Occidente una maggior cautela? Oppure la guerra all’Iran
serve ai paesi occidentali per coprire la crisi economica in cui stan
sprofondando?
Da il Fatto Quotidiano
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