La cultura del narcisismo e la sua egemonia negli USA moderni, anche nella politica...

giu 10, 2015 0 comments
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Di Federico Rampini
Nell’ottimo libro “Game Change”, un reportage-verità sull’ultima campagna elettorale per la Casa Bianca, secondo gli autori John Heilemann e Mark Halperin il candidato democratico John Edward viene travolto “dal suo narcisismo”.
Bill Clinton, che tenta di ostacolare Barack Obama con una serie di basse insinuazioni e finisce per aggravare gli errori della moglie Hillary, è descritto come “un narcisista di epiche dimensioni”.
Una ricerca su Google che associ il nome di Tiger Woods alla parola “narciso” dà decine di migliaia di risultati: un segnale di come il pubblico interpreta la straripante attività di sciupafemmine del campione di golf.
Neppure Obama sfugge alle accuse di narcisismo, almeno se si ascoltano le geremiadi dei talkshow di Rush Limbaug, della Fox News, o i comizi del Tea Party Movement (ma anche a sinistra quella sua civetteria di accettare il Premio Nobel per la pace ha acceso qualche sospetto).
E che dire di Sarah Palin? Disprezza la cultura, insulta le competenze, può infilare uno strafalcione dietro l’altro su questioni cruciali dell’attività di governo, eppure “buca” lo schermo ed è sfacciatamente innamorata di se stessa.
Tutto questo spinge il New York Times a riesumare dall’oblìo quel geniale visionario di trent’anni fa. E’ Christopher Lasch, che scrisse “La cultura del narcisismo” quando era docente di storia all’università di Rochester.



Lo ricorda Lee Siegel, brillante osservatore del (mal)costume politico americano sul blog The Daily Beast, e autore di un recente saggio sull’influenza di Internet nei nostri consumi culturali.
Siegel ricorda la prima intuizione di Lasch: riprendere un termine messo in voga da Siegmund Freud nel campo della psicopatologia, e usarlo per descrivere una diffusa tendenza sociale.
Nella più estesa definizione adottata da Lasch il narcisista, spinto da inconfessabili insicurezze, “si rifugia in un culto di sé, manipola le emozioni degli altri come strumenti della propria gratificazione, e al tempo stesso è costantemente bisognoso della loro approvazione e adorazione”.
Quando questa patologia diventa un fenomeno di massa, i risultati sono “l’ossessione per la celebrità, l’incapacità di provare dei dubbi, delle relazioni interpersonali vuote ed effimere”.
In un paragone che suona chiaro per gli americani, la figura leggendaria di Horatio Alger – antico simbolo del self-made man che si costruisce il successo attraverso un’etica puritana del lavoro – viene sostituta dalla “puttana felice”.
Lasch non era l’unico ad avere quelle intuizioni alla fine degli anni Settanta. Nella stessa epoca il giornalista-romanziere Tom Wolfe aveva coniato la definizione “The Me Decade”, il decennio dell’Io, per descrivere “la più grande esplosione di individualismo nella storia d’America”.
Ma Wolfe propendeva ancora per la visione positiva. In un’ottica progressista l’individualismo era la conseguenza benefica delle grandi rivolte antiautoritarie degli anni Sessanta: i figli contro la famiglia, gli studenti contro i professori, le femministe contro la società patriarcale, i neri contro la segregazione, il movimento hippy contro ogni convenzione.
Lasch invece anticipava le disillusioni dei decenni successivi. Intuì che quei profondi sconvolgimenti sociali sfociavano “nel disprezzo di ogni autorità, compresa l’autorità dell’esperienza”.
La sua originalità fu nel cogliere l’intreccio perverso che si poteva creare tra l’idea progressista della libertà individuale, e gli interessi del capitalismo.
L’età dell’Io sarebbe diventata una formidabile opportunità di marketing, per aprire un’èra di travolgente consumismo e materialismo.
Lasch mise sotto accusa anche le nuove tendenze della pedagogia, che spingevano i genitori a trasformare i figli in precoci Narcisi.
Un fenomeno parallelo avvenne dentro le aziende: le oligarchie capitaliste e le burocrazie manageriali incoraggiarono “la sistematica manipolazione delle relazioni interpersonali”, cinicamente i narcisisti furono premiati nella scalata al potere.
Nel mondo dello sport Lasch anticipò la nascita dell’atleta superstar, un protagonista dell’ “entertainment” che si prostituisce al migliore offerente.
L’industria editoriale specializzata nei manuali di “self-help” (consigli per il successo individuale) ha diffuso una visione strumentale delle relazioni umane: tutto diventa networking, relazioni pubbliche, costruzione di alleanze per la carriera e la promozione di sé.
Infine il narcisismo del politico ha come riflesso speculare quello dell’elettore: le sue fantasie di potere lo spingono a identificarsi solo con i “vincenti”. Salvo esserne ferocemente deluso quando le loro debolezze sono messe a nudo.

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