Quel filo rosso che collega i diavoli della Bassa ai demoni di Bibbiano

lug 19, 2019 0 comments

Di Costanza Tosi

“Angeli e Demoni” come “Veleno”, il caso, ripercorso da Pablo Trincia, che alla fine degli anni Novanta ha scosso l’Italia.
Anche allora i bambini sarebbero stati plagiati per poi venire allontanati dalle loro famiglie grazie a finte accuse e falsi pretesti. Sono questi i dati principali dell’inchiesta sui “diavoli della Bassa modenese”. Un film già visto.
La storia risale alla fine degli anni novanta. Tra il 1997 e il 1998, 16 bambini vennero allontanati dalle proprie famiglie su indicazione dei servizi sociali. L’accusa mossq contro i genitori era raccapricciante. I bambini sarebbero stati infatti vittime di una rete satanica di pedofili. Una setta che avrebbe costretto i minori a compiere atti sessuali e violenze. Nessuno di quei bambini è mai più tornato a casa. Nel 2014 le indagini si conclusero con l’assoluzione di almeno metà degli indagati, ma durante gli anni segnati dai processi e macchiati dalle accuse risultate poi infondate, una madre si è suicidata gettandosi dal quinto piano, il parroco accusato nella vicenda ha avuto un infarto, altre due madri sono morte in carcere e un altro indagato ha perso la vita dopo essere stato condannato.
I dettagli che si aggiungono alla storie nell’inchiesta “Veleno”, condotta dal giornalista Paolo Trincia, inducono inevitabilmente a terribili sospetti. Pare che, durante le sedute con i bambini, gli assistenti sociali della Asl manovrassero i piccoli per poi convincerli a raccontare cose mai successe.
Dopo venti lunghi anni dallo scandalo dei "diavoli della Bassa" un filo rosso potrebbe unire le indagini a quelle di "Angeli e Demoni". Molti indizi uniscono i due casi. Troppe somiglianze lasciano pensare che niente sia cambiato.
La tecnica utilizzata dagli psicologi infantili è sempre la stessa, inculcare nella mente dei bambini “falsi ricordi” di terribili episodi di abusi per poi spingerli a denunciare tutto. L’altro punto d’incontro tra le due storie degli orrori riguarderebbe gli interessi economici. Veleno, infatti, dimostra come gran parte delle stranezze derivasse anche dall’ingaggio di aziende private per la sanità e l’assistenza sociale e dai conflitti di interesse che si andavano a creare tra queste e le amministrazioni pubbliche. Elementi questi, che ritroviamo anche nell’inchiesta di Reggio Emilia. Ma c’è di più. Il collegamento diretto tra le due storie riguarderebbe le persone coinvolte.
Come ha sottolineato lo stesso Trincia, tra gli arrestati della procura c’è Claudio Foti. Da anni uno degli psicoterapeuti più conosciuti sul tema degli abusi sessuali nonchè fondatore del Centro Studi Hansel e Gretel di Torino. Lo stesso centro di cui facevano parte proprio le psicologhe che interrogarono i bambini di "Veleno". Il metodo utilizzato dal professore è sempre stato solo uno: quello dell’"ascolto empatico" dei bambini sospettati di abusi. Utile ad indurre i monori a ricordare i maltrattamenti subiti nel passato.
Eppure, quando alla fine del processo dei “diavoli della Bassa”, nel 2013, la corte d’appello assolve gli imputati, per l’ennesima volta, le parole rivolte agli inquirenti e sopratutto agli psicologi che per anni avevano interrogato i bambini, non lasciano spazio ad interpretazioni. Il loro approccio viene definito “assolutamente censurabile (…) perchè del tutto impropriamente veicola nella mente dei bambini dati e informazioni che ne possono contaminare ogni successivo racconto”.
Ma allora perchè psicologi, operatori dei servizi sociali, associazioni private e tutti coloro che avevano preso parte al sistema che ha scatenato l’inferno e strappato via, ingiustamente, i bambini alle proprie famiglie dopo che i casi sono stati chiusi e si è appurato l’”assurdità del metodo” utilizzato non sono mai stati indagati? Perchè nessuno di loro è mai stato preso in causa con l’accusa di aver distrutto intere famiglie, plagiato la mente di bambini innocenti? E ancora, perchè se quegli stessi nomi erano già stati individuati venti anni fa adesso sono ancora lì?
Torniamo ai fatti più recenti. Dalle carte dell’ordinanza della procura di Reggio Emilia sull’inchiesta "Angeli e Demoni" emerge uno stretto legame tra gli indagati e il tribunale dei minori di Bologna. Conoscenze che inducono a sospettare che anche i giudici minorili, in qualche modo, potessero cedere ad alcune richieste degli “amici” e magari riuscire a deviare le indagini a loro favore.

Luca Ramponi, il giudice che ha predisposto le misure cautelari nei confronti del sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, accusato di abuso d’ufficio e falso, individua la sua “capacità di influenza e i contatti a diversi livelli politico-amministrativi, nei settori di competenza ma anche con l’autorità giudiziaria minorile.” Dalle intercettazioni emerge una conversazione tra lo psicoterapeuta Claudio Foti e l’assistente sociale Francesco Monopoli (anche lui ai domiciliari). Tutto il discorso gira attorno ad un problema da risolvere: i due cercano un modo per salvaguardare il proprio approccio metodologico messo in discussione dall’inchiesta Veleno. Secondo quanto emerge dall’ordinanza i due suppongono che “Carletti potrebbe aiutarli addirittura contattando giudici che sostenessero, in un convegno o in eventi pubblici, la soluzione metodologica preferita”. Secondo Ramponi, Carletti e Foti avrebbero i mezzi per “influire sull’andamento delle indagini”. La conversazione prosegue e, quando Foti chiede come si chiama il giudice amico di Monopoli, esce fuori proprio il nome di un giudice togato per il tribunale dei minori di Bologna. Secondo Ramponi non c’è dubbio che il sindaco del Pd, insieme alla Hansel e Gretel, abbiano la possiblità di “contattare eventuali conoscenti all’interno degli organi amministrativi e giudiziari di polizia, per ottenere aiuti, deviare l’indagine o avere informazioni rilevanti sul prosieguo del procedimento”. Ma non basta. Secondo il Gip contatti “con almeno un giudice onorario del tribunale dei minori” sulla base di altre intercettazioni, “possono vantarli anche Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi della Val d’Enza, e Monopoli. Federica Anghinolfi che, come si legge in una storia raccontata da La Verità, fu responabile dell’affidamento di una bambina coinvolta nel "caso Veleno" ad una delle psicologhe che l’aveva seguita per l’allontanamento dai propri genitori.

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