L’agroalimentare ai tempi del coronavirus

apr 18, 2020 0 comments

Di Giuseppe Matranga

La crisi generata dall’epidemia di Covid-19, oltre ad aver scosso la nazione nell’ambito della sanità, ha creato profonde distorsioni in quei settori che all’apparenza non sono stati toccati dalle misure restrittive e appaiono ancora produttivi e pienamente attivi. Stiamo parlando in particolare del settore agroalimentare
L’agroalimentare è un settore strategico sul piano nazionale e di primaria importanza per l’autosostentamento del Paese. Si è venuta a creare una situazione di difficoltà all’interno del settore, che da un lato ha colpito la domanda, segnatamente di alcuni segmenti di prodotto, e dall’altro l’offerta, costituendo di fatto uno shock simmetrico che sta creando non pochi problemi ad intere filiere.
Lo shock di domanda – Nonostante i supermercati e i negozi al dettaglio di generi alimentari siano sempre rimasti aperti, col passare delle settimane è reso sempre più chiaro che i consumi delle famiglie si spostano da un segmento all’altro di prodotto in funzione dei redditi disponibili. Redditi che si abbassano di giorno in giorno fino ad arrivare a zero nelle situazioni più disperate. La scelta stessa tra un negozio e l’altro si sposta più verso il discount che non sulla bottega a chilometro zero, che ha i prodotti di migliore qualità ma anche più costosi.
Questo calo di reddito disponibile ha fatto sì che molti piccoli negozi così come anche le catene di supermercati che trattano prodotti di prima fascia abbiano subìto un forte calo di domanda, in alcuni casi tanto profondo che alcuni esercenti hanno già scelto di abbassare autonomamente la saracinesca in quanto le entrate di cassa non arrivano a coprire le stesse spese d’esercizio.
Chi ne fa le spese sono tutte le piccole aziende che producono prodotti di nicchia e le cosiddette eccellenze del territorio, in quanto i loro articoli sono in gran parte fuoriusciti dal paniere d’acquisto di molti consumatori.
Come se non bastasse molti degli articoli alimentari di base (frutta e verdura freschi, farina, pasta, etc.) hanno subìto un forte aumento dei prezzi al dettaglio generato da diverse concause, tra cui principalmente la difficoltà di approvvigionamento e l’aumento di markup del venditore finale, cosa che ovviamente come normale effetto di mercato provoca un’ennesima diminuzione di domanda.
Lo shock di offerta – Ben più grande è il problema sul lato dell’offerta: se da una parte manca la manodopera nei campi per la raccolta dei prodotti agricoli, gli stessi stanno accusando un’impennata di prezzo in media di circa il 45%. 
L’aumento di prezzo delle materie prime, essendo probabilmente di natura puramente momentanea e destinata a ristabilirsi nell’arco di poche settimane non permette alle piccole aziende di trasformazione di riversare sui prezzi dei prodotti finiti il maggior costo sostenuto per l’approvvigionamento della materia prima. 
Le piccole imprese di trasformazione, per dimensione e capacità produttiva, usano trasformare le materie prime soltanto in certi periodi dell’anno, prediligendo i prodotti locali e chiaramente non sempre disponibili sul mercato. Inoltre usualmente esse operano la trasformazione proprio durante il momento immediatamente successivo alla raccolta, essendo esso anche il momento in cui il prodotto ha il miglior prezzo di mercato.
Al contempo questa stessa produzione difficilmente viene immediatamente piazzata sul mercato andando in gran parte a costituire scorte di magazzino che vengono vendute via via nel corso dei mesi a seguire. La pesante distorsione del normale prezzo di mercato dei prodotti agricoli di stagione provoca nelle piccole industrie una difficile scelta:
  • acquistare oggi a un prezzo esorbitante le materie prime, pur sapendo  che nei mesi a seguire i prezzi degli alimentari torneranno ad normalizzarsi e rischiando di proporre un prodotto finito dal prezzo troppo alto rispetto al mercato futuro, con conseguenti alti rischi di mancate vendite o mancati margini di profitto;
  • attendere che il mercato delle materie prime torni a normalizzarsi prima che sia troppo tardi per andare a produrre quegli articoli che saranno richiesti nei mesi a venire al solito prezzo dello scorso anno, correndo così anche il rischio di restare senza prodotto se la crisi di prezzo dovesse perdurare oltre le loro aspettative.
Lo stesso problema invece non riguarda la maggior parte delle grandi aziende di trasformazione, che si rivolgono alla grande distribuzione e sono già abituate a lavorare prodotti provenienti dall’estero, gran parte dei quali disponibili lungo più archi dell’anno.
Nei prossimi mesi, a causa della distorsione di questo periodo, potrebbe venire a crearsi un problema di competitività delle piccole aziende, in quanto potrebbe diminuire sensibilmente la quantità della loro offerta ed esse potrebbero essere ancora più distanziate nel prezzo rispetto ai prodotti di massa, senza che ci sia un contestuale aumento di markup. I prodotti di nicchia destinati alla piccola distribuzione di eccellenza potrebbero essere identificati dai consumatori sempre più come “prodotti di lusso” e perciò  difficilmente accessibili, e ciò potrebbe causare a sua volta un forte crollo di domanda degli stessi.

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