Il caso di Alfredo Cospito, l’anarchico che rischia di morire in carcere

dic 2, 2022 0 comments


Di Valeria Casolaro

È giunto al quarantaquattresimo giorno di sciopero della fame Alfredo Cospito, anarchico recluso in isolamento nel carcere di Bancali (Sassari) deciso in questo modo a protestare contro il regime di 41 bis, ovvero il “carcere duro”, cui è stato sottoposto dallo scorso maggio. Nella giornata di ieri il suo caso è arrivato al Tribunale del Riesame di Roma, che dovrà decidere sul provvedimento di applicazione del regime detentivo di 41 bis per i prossimi quattro anni. A ccusato, nell’ambito del processo Scripta Manent, di aver collocato due ordigni a bassa intensità nella Scuola Allievi Carabinieri di Fossano (Torino) i quali, esplosi in orario notturno, non causarono né morti né feriti. Al termine del processo Cospito si vide condannato a 20 anni di reclusione per 280 c.p., ovvero Attentato per finalità terroristiche o di eversione dell’ordine democratico, riqualificato nel luglio 2022 in 285 c.p., Devastazione, saccheggio e strage ai danni dello Stato, il reato più grave del nostro ordinamento, per il quale è previsto l’ergastolo, anche ostativo (il cosiddetto “fine pena mai”), pur in assenza di vittime. Non vennero condannati per questo reato nemmeno gli autori delle stragi di Capaci e via d’Amelio, né quelli di piazza Fontana o dell’attentato alla stazione di Bologna. Nel maggio 2022, in anticipo sulla riqualificazione del reato, Cospito viene sottoposto a regime speciale di 41 bis o.p. e trasferito al carcere di Bancali, in provincia di Sassari. A motivare l’applicazione del regime di carcere duro vi sarebbe la corrispondenza che l’anarchico ha intrattenuto in questi anni, sempre alla luce del sole, con riviste e militanti del movimento anarchico. Per la libertà di Cospito e in generale contro il regime carcerario del 41 bis si sta sviluppando un movimento di solidarietà internazionale, che oltre all’Italia ha registrato nelle ultime settimane campagne e manifestazioni in Grecia, Cile e diversi altri Paesi.

La strage ai danni dello Stato e l’ergastolo ostativo

Già condannato a 10 anni nel 2014 per aver gambizzato, nel 2012, l’ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi – azione della quale Cospito rivendicò la piena paternità -, fu poi condannato, insieme ad Anna Beniamino, a 20 anni di reclusione nell’ambito del procedimento Scripta Manent, in quanto riconosciuto “quale capo e organizzatore di un’associazione con finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 270 c.p. [Associazione sovversiva, ndr] denominata Federazione Anarchica Informale – Fronte Rivoluzionario Internazionale (FAI/FRI)”. In particolare, Cospito viene riconosciuto colpevole di aver collocato due ordigni a basso potenziale presso la Scuola Carabinieri di Fossano, in provincia di Torino, nel giugno 2006, all’esplodere dei quali non vi furono vittime né feriti. Il reato attribuitogli è quello di strage, previsto dall’art. 422 del codice penale, riqualificato nel luglio di quest’anno nel reato di strage politica contro lo Stato (285 c.p.), il quale prevede l’ergastolo ostativo anche in assenza di vittime.

L’articolo 285 del codice penale, il quale definisce il reato di Devastazione, saccheggio e strage, recita: “Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato o in una parte di esso è punito con l’ergastolo”. Il reato, dai contorni evidentemente molto ampi, si differenzia dai reati di devastazione, saccheggio e strage previsti dagli artt. 419 e 422 perché integra il delitto di attentato e la commissione del reato al fine di porre in pericolo la sicurezza dello Stato. Si tratta del reato più grave del nostro ordinamento, che di fatto non è stato contestato in nessuna delle stragi più importanti degli ultimi decenni di storia italiana. Va notato, inoltre, che gli ordigni la cui collocazione nella caserma di Fossano è stata imputata a Cospito sono stati fatti esplodere nella notte e non hanno causato vittime.

L’articolo 285 fu elaborato per la prima volta in epoca fascista, nell’ambito del cosiddetto codice Rocco, e prevedeva in origine l’ergastolo o la pena di morte. Questo poiché andava a punire «fatti di estrema gravità da cui può derivare un danno irreparabile per l’esistenza stessa dello Stato», aveva dichiarato l’allora ministro Rocco. La pena di morte è stata successivamente abolita, ma l’ergastolo è rimasto: trattandosi di ergastolo ostativo, è stato definito dagli addetti ai lavori «una pena di morte viva». Se nel caso dei reati di mafia il regime del “carcere duro”, regolato dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, ritrova dei criteri ben definiti di applicazione, non si può dire lo stesso per i reati di stampo politico come quelli dei quali è accusato Cospito.

Insieme al regime del 41 bis l’ergastolo ostativo ha infatti costituito un tassello fondamentale del cosiddetto “metodo Falcone”, che ha prodotto decine di pentiti e collaboratori tra gli uomini d’onore, per i quali l’unico modo per porre fine alla detenzione era collaborare con la giustizia. Nell’ottobre del 2019 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) aveva ribadito la necessità che l’Italia dovesse «riformare la legge sull’ergastolo ostativo, che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia». La Corte Costituzionale aveva così in seguito ammorbidito il provvedimento e, nel marzo 2021, il governo guidato dal premier Draghi, tramite l’Avvocatura dello Stato, aveva persino accennato ufficialmente alla possibilità per i detenuti condannati ad ergastolo ostativo di accedere alla libertà condizionale senza doversi pentire, scatenando reazioni avverse in una grossa parte delle associazioni antimafia. Tutte le discussioni che vi sono seguite hanno sempre tenuto in considerazione la specificità dei reati mafiosi. La nuova premier Giorgia Meloni, nel primo decreto del proprio governo, ha difeso un’ottica di applicazione rigida del “fine pena mai” per i mafiosi che non collaborino con la giustizia, ritornando a una linea di rigorosa applicazione della norma. Sulla legittimità del nuovo decreto dovrà pronunciarsi la Suprema Corte.

La condanna al 41 bis

Nel maggio 2022, quindi prima che la condanna a suo carico venisse riformulata, a Cospito è stato imposto il cosiddetto “carcere duro”, ai sensi dell’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Si tratta, come spiega l’avvocato Rossi Albertini, di una fattispecie introdotta «per combattere le associazioni mafiose e che presuppone la necessità di impedire collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale all’esterno per fini criminosi». Essa non prevede attività rieducative né tantomeno l’ipotesi di misure alternative e, per la condizione di isolamento nella quale viene a trovarsi il detenuto, può comportare gravi conseguenze sul benessere psicofisico e sensoriale della persona (sono previste due sole ore di aria al giorno ed una sola di socialità, non si ha accesso alle biblioteche né ai colloqui coi familiari se non una volta al mese e non si possono effettuare telefonate). Va notato, inoltre, che tale provvedimento è stato adottato non nel 2016, quando Cospito è stato riconosciuto essere parte del FAI, ma solamente quest’anno.

Il “carcere duro” ha la funzione di impedire i collegamenti tra una particolare tipologia di detenuti, ovvero gli esponenti di un’organizzazione (tipicamente mafiosa), e il mondo esterno, in modo che questi non possano impartire ordini agli affiliati all’esterno del carcere e mantenere il controllo sulle attività criminali, contenendone così la pericolosità. Lo scopo principale della norma è, di conseguenza, proprio impedire i collegamenti con l’associazione di appartenenza. La Corte ha ritenuto che tali misure fossero necessarie nel caso di Cospito “al fine di impedire i collegamenti tra lo stesso e i componenti dell’associazione con finalità di terrorismo denominata FAI/FRI” (in base a un unico documento redatto nel 2006 che avrebbe attestato una riunione di più membri del gruppo, del quale, a detta della difesa, non si ravvisa più l’esistenza in momenti successivi). Il pericolo ravvisato dal ministro starebbe quindi nel fatto che Cospito avrebbe scritto testi istigatori (peraltro attività pubblica non destinata agli associati ma a tutti i gravitanti intorno alla galassia anarchica), più che nel timore di una effettiva «permanenza operativa» della FAI, motivo per cui si sarebbero potute valutare opzioni meno invasive, quali «il collocamento in una sezione AS2 (Alta Sorveglianza, un altro genere di “carcere duro”) senza ulteriori anarchici» (mentre nella precedente detenzione era sottoposto ad AS2 con altri militanti), «la sottoposizione a misure cautelari per il reato di istigazione» o l’«applicazione del visto di censura sulla corrispondenza».

A parere dell’avvocato, l’applicazione di tale regime è «quantomeno singolare essendo notorio che il movimento anarchico rifugge in radice qualsiasi struttura gerarchica e/o forma organizzata», al punto da «far emergere il serio sospetto che con il decreto ministeriale si voglia impedire l’interlocuzione politica di un militante politico con la sua area di appartenenza piuttosto che la relazione di un associato con i solidali in libertà». Secondo l’avvocato, quindi, la norma è in questo caso «illegittima per l’insussistenza dei presupposti applicativi», in particolare «dell’associazione criminale, terroristica o eversiva». Cospito è il primo anarchico sottoposto a tale regime restrittivo.

FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://www.lindipendente.online/2022/12/02/il-caso-di-alfredo-cospito-lanarchico-che-rischia-di-morire-in-carcere/

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