«Per il bene dell’umanità, fateci entrare nella Striscia».
Con queste parole, il responsabile umanitario delle Nazioni Unite Tom Fletcher ha lanciato oggi un appello disperato alle autorità israeliane, chiedendo la fine del blocco sugli aiuti e l’accesso immediato a cibo e medicinali. Troppo tardi per troppi, ma non per tutti: così Fletcher ha descritto la catastrofe in corso, mentre l’ONU ha dichiarato ufficialmente lo stato di carestia a Gaza.
La carestia conclamata
Secondo la Classificazione Integrata della Sicurezza Alimentare (IPC), organismo sostenuto dalle stesse Nazioni Unite, circa 514.000 palestinesi – un quarto della popolazione della Striscia – sono vittime di malnutrizione grave. A Gaza City, la regione settentrionale è stata dichiarata in piena carestia: oltre 280.000 persone sopravvivono tra fame, malattie e mancanza di acqua potabile.
Perché un’area venga classificata in carestia devono verificarsi criteri precisi: almeno il 20% della popolazione colpita da carenze alimentari estreme, un bambino su tre affetto da malnutrizione acuta e un tasso di mortalità che supera le due persone al giorno su 10.000 abitanti. Tutti indicatori ormai superati nella Striscia. È la prima volta che l'IPC conferma una carestia in Medio Oriente.
Il rapporto dell’IPC parla chiaro: dopo 22 mesi di guerra, mezzo milione di persone vive condizioni catastrofiche, con livelli di malnutrizione infantile mai registrati prima in Medio Oriente. Entro il 2026, si stima che 132.000 bambini sotto i cinque anni soffriranno di denutrizione acuta, con 41.000 piccoli già oggi in pericolo di morte imminente.
La fame a Gaza è "apertamente promossa da alcuni leader israeliani come arma di guerra", ha detto il responsabile umanitario delle Nazioni Unite, Tom Fletcher. "È una carestia che ci perseguiterà tutti" ha aggiunto, invitando il premier israeliano Benjamin Netanyahu a un "cessate il fuoco immediato" e chiedendo che vengano aperti i valichi per far entrare gli aiuti umanitari.
Fame come "arma di guerra"
La carestia non è una calamità naturale: è il prodotto diretto di bombardamenti, blocco degli aiuti e distruzione delle infrastrutture. Campi devastati, sistemi idrici collassati, ospedali distrutti: Gaza è ridotta a una terra senza vita.
Eppure, Israele respinge le accuse. Il COGAT, organismo militare che coordina le attività nei Territori, ha definito il rapporto dell’IPC «falso» e «basato su dati parziali forniti da Hamas». Una versione che stride con le stesse ammissioni interne: secondo quanto rivelato da Local Call, anche l’esercito israeliano considera attendibili i bilanci del Ministero della Salute di Gaza, mentre i leader politici li bollano come propaganda.
La verità scomoda sui civili uccisi
Alla tragedia della fame si aggiunge un’inchiesta internazionale che getta nuova luce sul bilancio delle vittime. Un database riservato dell’intelligence israeliana, ottenuto da The Guardian, +972 Magazine e Local Call, mostra che cinque palestinesi su sei uccisi a Gaza erano civili.
I numeri sono drammatici: a maggio, secondo il Ministero della Salute di Gaza, 53.000 palestinesi erano già morti sotto le bombe. Di questi, soltanto 8.900 erano militanti di Hamas o della Jihad islamica. Ciò significa che l’83% delle vittime è costituito da civili, una percentuale che supera perfino i conflitti più sanguinosi di Siria o Sudan.
Una realtà difficilmente negabile, al punto che l’esercito israeliano non ha smentito l’esistenza del database. Ufficialmente, però, continua a contestarne i contenuti. Intanto, sotto le macerie, restano migliaia di corpi non conteggiati.

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