Nepal. Non si placa la rivolta: nominata premier Sushila Karki

set 17, 2025 0 comments


Di Giuseppe Gagliano 

Le proteste anti-corruzione in Nepal, scaturite dopo la decisione del governo di chiuderei social, hanno assunto dimensioni drammatiche: 51 morti, oltre 1.300 feriti e 12.500 detenuti ancora in fuga dopo le rivolte nelle carceri. È un bilancio che testimonia il crollo del controllo statale e la fragilità delle istituzioni. Le forze di sicurezza hanno imposto il coprifuoco, ma la fuga di massa dei prigionieri, alcuni catturati persino al confine con l’India, ha creato un clima di insicurezza diffusa. Il fatto che 54 fuggitivi abbiano scelto di rientrare volontariamente indica che il Paese non è solo scosso dalla rabbia, ma anche da un desiderio di ordine e stabilità.
L’uscita di scena del primo ministro Khadga Prasad Sharma Oli, costretto alle dimissioni dopo l’incendio del Parlamento e della sua stessa residenza, ha aperto un vuoto di potere. Le notizie riportano anche di ministri malmenati, uno denudato e picchiato nel greto di un fiume. E’ stata quindi nominata al suo posto Sushila Karki, ex presidente della Corte suprema e simbolo di integrità, la quale rappresenta il tentativo di trovare una figura di consenso capace di placare la piazza. Ma la sua mancanza di appartenenza al Parlamento potrebbe aprire a scenari radicali: scioglimento della Camera, riforma costituzionale o perfino riscrittura delle regole del gioco politico.
Le proteste sono state guidate da giovani che vedono nella corruzione il principale ostacolo allo sviluppo del Paese. La loro pressione per una leadership pulita e trasparente spiega il sostegno a Karki. Tuttavia la sfida sarà trasformare l’indignazione in un progetto politico duraturo: l’esperienza di altri Paesi insegna che la sola protesta, senza strutture organizzative solide, rischia di sfociare in nuovi cicli di instabilità.

L’intervento dell’esercito e il recupero di armi sottratte dai manifestanti indicano che il Nepal si trova a un passo dalla militarizzazione del conflitto politico. L’uso di fucili automatici da parte dei dimostranti e la repressione che ha causato decine di morti segnalano che il rischio di un conflitto interno resta alto. Se la situazione sfuggisse di mano, il Nepal potrebbe scivolare in uno scenario simile a quello di Myanmar o Sri Lanka, dove l’esercito diventa arbitro permanente della vita politica.
L’instabilità ha un costo economico enorme per un Paese che vive di rimesse dall’estero e dipende dal turismo. La chiusura dei negozi, i blocchi stradali e la fuga di manodopera rischiano di aggravare una crisi già profonda. L’India, principale partner commerciale e politico, osserva con attenzione: una destabilizzazione del Nepal avrebbe impatti diretti sulla sicurezza dei confini, sulla gestione dei flussi migratori e sul delicato equilibrio idro-politico dei fiumi condivisi.
La riapertura parziale delle attività a Kathmandu lascia intravedere un ritorno alla calma, ma la crisi resta irrisolta. La sfida è duplice: ristabilire l’ordine senza ricorrere a un’autorità militare permanente e avviare una riforma politica che risponda alle richieste di trasparenza. Il Nepal si trova di fronte a un bivio: o trasformare la rivolta in un’occasione per rifondare lo Stato su basi più solide, o rischiare di precipitare in un ciclo di instabilità che minerebbe la sua fragile democrazia e la sicurezza dell’intera regione himalayana.

FONTE: https://www.notiziegeopolitiche.net/nepal-non-si-placa-la-rivolta-nominata-premier-sushila-karki/

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