Chevron «razzista» in Ecuador

gen 8, 2012 0 comments
Di Marina Forti

Dopo un processo durato anni, un tribunale sentenzia che una compagnia petrolifera è responsabile di gravi danni ambientali e la condanna a pagare un consistente risarcimento alla popolazione coinvolta. La compagnia petrolifera fa ricorso. Fin qui tutto normale: è il caso Chevron versus la popolazione di un distretto amazzonico dell'Ecuador, un processo durato ben 8 anni che ha fatto molto parlare di sé. E ancora farà parlare, perché martedì la Corte d'appello della città di Lago Agrio, in Ecuador, ha emesso la sua sentenza: respinge il ricorso di Chevron e ratifica il giudizio di primo grado emessa il 14 febbraio scorso, «in tutte le sue parti, inclusa la sentenza per risarcimenti morali». Ovvero, inclusi i 18,2 miliardi di dollari di risarcimenti.
Perso il ricorso, Chevron sembra colta da sindrome berlusconiana: urla che i giudici sono «politicizzati». In un comunicato infatti dichiara che la sentenza è «illegittima», «una truffa»; accusa la parte lesa di aver «fabbricato» le prove usate durante il processo, e dice che la decisione del tribunale ecuadoriano è un «chiaro esempio della politicizzazione e corruzione della magistratura dell'Ecuador». Promette infine di ricorrere ancora, ma fuori dal paese. 
Come definire la reazione di Chevron? Gli avvocati della parte lesa - circa 30mila abitanti del distretto amazzonico di Sucumbìos, Lago Agrio - l'hanno definito «un atteggiamento razzista». Chevron «non vuole neppure riconoscere che delle popolazioni native e povere abbiano il diritto di rivolgersi alla giustizia», ha detto l'avvocato Pablo Fajardo: «Nonostante i molti sforzi di Chevron di demolire il caso, noi abbiamo vinto. ... Dopo 18 anni di battaglie e 40 anni di sofferenze, finalmente c'è speranza di una riparazione in Amazzonia».
Stiamo parlando infatti di una battaglia cominciata nel 1993, quando circa trentamila abitanti dei villaggi di quella regione amazzonica, sostenuti da alcune organizzazioni ambientaliste, hanno fatto causa contro Texaco al tribunale di New York. L'accusavano di aver scaricato nella foresta 18,5 milioni di galloni di rifiuti oleosi (circa 68 milioni di litri), buttati in centinaia di fosse aperte nella zona di sua concessione, oltre a 16 milioni di galloni (64 milioni di litri) dispersi da pozzi e oleodotti. Texaco aveva cominciato le operazioni in Ecuador negli anni '60; i pozzi di Sucumbìos erano entrati in produzione nel '72 e sono rimasti operativi per vent'anni prima che Texaco li cedesse alla compagnia nazionale Petroecuador; in quel periodo ne ha estratto un miliardo e mezzo di barili di greggio. Il tribunale di New York sentenziò che l'azione legale non era ricevibile negli Usa perché la sua «sede naturale» era l'Ecuador, e che la compagnia americana era tenuta a rispettare la sentenza pronunciata dal tribunale ecuadoriano. Così nel 2003, nel tribunale della cittadina di Nueva Loja, Lago Agrio, è finalmente cominciato il processo che ha visto come imputato Chevron (che nel 2001 aveva acquisito Texaco) e come parte lesa gli abitanti della zona contaminata. 
La compagnia ha dapprima sostenuto di non avere responsabilità legali, dopo che negli anni '90 Texaco ha speso 40 milioni di dollari per chiudere duecento pozzi in cui aveva scaricato i reflui (per l'accusa i pozzi sono circa 600). Nel 2008 il tribunale ha incaricato un perito indipendente, il geologo ecuadoriano Richard Cabrera, di quantificare il danno. La perizia infine ha quantificato tra 8,3 e 16 miliardi di dollari il danno ambientale provocato: 8 miliardi era il costo stimato della bonifica nella zona contaminata; altrettanti i soldi che Texaco aveva risparmiato non applicando tecnologie e pratiche di gestione ambientale disponibili e che avrebbero evitato il danno. Su quella stima si basa la sentenza che ora Chevron dichiara «illegittima». Finirà per accettarla?


Da il Manifesto

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