Il progresso sulla pelle degli Indios Evviva i “no-diga” dell’Amazzonia

set 5, 2012 0 comments
Di Susanna Schimperna
Gli indios delle tribù amazzoniche lungo il fiume Xingu avevano festeggiato. Dopo anni di ricorsi e battaglie, finalmente un tribunale li aveva ascoltati e i lavori per la diga che cancellerà 500 kmq di foresta e costringerà a spostarsi quasi 20 mila persone erano stati sospesi. Il tribunale superiore dello stato di Paranà aveva detto no, non si può procedere prima che gi abitanti della zona abbiano dato il proprio parere sull’utilità o meno di questa gigantesca centrale idroelettrica. Ma un paio di settimane dopo, il 28 agosto, il Supremo Tribunal Federal ha ordinato di riaprire i cantieri e riprendere i lavori. Giudice regionale contro Corte Costituzionale, praticamente. Una bella storia per un filmone made in Hollywood secondo il vecchio, sperimentatissimo ma sempre commovente plot di Davide contro Golia. Peccato che nella realtà a vincere sia di solito Golia, che trionfa tra gli applausi di chi pensa di dar prova di lungimiranza e lucidità a non lasciarsi intrappolare nello schema (vetusto, banale) “potente uguale cattivo”. Così, le ragioni dei SìDiga (vi ricorda qualcosa?) sono apparentemente tutte dalla parte degli indigeni, del loro benessere, del loro sviluppo. Non va sottostimato, infatti, il richiamo fascinoso a un progresso non procastinabile. La mega diga che dovrà fornire 11.000 megawatt, circa l’11 per cento del totale d’energia prodotto dal Brasile, viene esaltata come alternativa alle centrali nucleari, molto più costose e pericolose. Gli ambientalisi contrari al progetto, gli attori di TvGlobo che hanno realizzato un documentario per denunciarne le storture e raccolto un milione di firme, i grossi nomi del cinema americano come Schwarzenegger, Sigourney Weaver e James Cameron che hanno lanciato una campagna internazionale chiedendo un blocco dei lavori, tutti sono stati accusati di essere sciocchi parolai, reazionari che degli indos non si curano affatto ma, travestiti da loro difensori, vogliono in realtà mantenerli in una situazione di disagio e arretratezza per sciacquarsi la coscienza, appagando allo stesso tempo un certo gusto tipicamente colonialista per l’esotismo.

Semplificando, dal punto di vista tecnico si scontrano due tesi. Da una parte, c’è chi dice che l’energia idroelettrica è pulita e rinnovabile, che tra tutte le centrali esistenti e quelle progettate si occupa solo l’1 per cento dell’Amazzonia e che non verrà allagata alcuna riserva indigena. E poi, disboscare per un’opera così utile e imponente 500 kmq è risibile, quando ogni anno si disbosca selvaggiamente e abusivamente un territorio immenso per pura speculazione. Sul fronte opposto, si ritiene che l’ecosistema in quell’area sia troppo delicato per essere sconvolto, e si mettono sul piatto anche i timori che, dato che con la diga il bacino dello Xingu non verrà sfruttato completamente che per massimo sei mesi l’anno, è più che probabile che si comincino presto a costruire altre centrali per creare un gigantesco bacino idroelettrico, stravolgendo completamente la biodiversità della regione. E all’insignificanza di quel mezzo migliaio di chilometri quadrati, la replica è secca: bisogna dire basta, dall’Amazzonia non deve uscire più nemmeno un albero.

La lotta dei NoDiga è difficilissima. Troppo imponente l’opera, troppo allettante l’idea di tanta energia rinnovabile, forse anche troppo ansiosa di legare il proprio nome a un tale prodigio la presidente del Brasile, che lotta per la realizzazione del progetto da quando era ministra dell’Energia. Su tutto, come un ipnotizzante mantra, il mito del “progresso”. Nessuno di quelli che hanno tanto a cuore il tenore di vita degli indios che si preoccupi di ciò che loro veramente desiderano. Eppure Osimar, autorevole anziano della tribù Xuruna, ha parlato in modo inequivocabile, a nome della sua gente: «Sono cinquecento anni che ci portano via tutto. Prima erano gli stranieri, adesso è lo stato. Per noi è esattamente la stessa cosa: vengono da fuori e vogliono cambiare i nostri modi di vita. Noi non abbiamo chiesto questo tipo di progresso. E non siamo disposti ad accettarlo».

È talmente semplice. Basta smetterla di pensare che qualcuno possa arrogarsi il diritto di decidere che cosa sia o non sia il bene di qualcun altro.

Fonte:http://www.glialtrionline.it/2012/09/02/il-progresso-sulla-pelle-degli-indios-evviva-i-no-diga-dellamazzonia/

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