La guerra di spie dietro il blitz in Somalia

mag 11, 2020 0 comments

Di Lorenzo Vita

L’operazione con cui è stata riportata a casa Silvia Romano ha ormai tutta l’aria di essere un intrigo internazionale in cui – a esclusione della famiglia della cooperante – il vincitore è solo uno: la Turchia. Il coinvolgimento dei servizi turchi è apparso da subito fondamentale nella gestione della trattativa tra i sequestratori e l’intelligence italiana. Ma quello che è apparso come un certificato del ruolo imprescindibile del Mit è stata una foto che ha fatto circolare in queste ore l’agenzia turca Anadolu e che mostra Silvia Romano sorridente dopo il dissequestro con indosso un giubbotto anti proiettile con i simboli della bandiera turca. Foto che è stata smentita dagli 007 italiani.
Un’immagine eloquente. E se qualcuno avesse avuto ancora delle perplessità sul ruolo turco e sull’importanza politica di questa liberazione, ci hanno pensato gli 007 di Recep Tayyip Erdogan a fugare ogni dubbio. L’operazione serviva al governo italiano per far tornare in patria una concittadina rapita, ma serviva soprattutto per far capire pubblicamente i nuovi equilibri nel ginepraio somalo.
Le domande a questo punto sono molte. Perché passare da Ankara quando Mogadiscio è nota per avere dai tempi della decolonizzazione rapporti proficui con le nostre unità di intelligence? Perché non avvertire in maniera chiara gli Stati Uniti? E soprattutto qual è il prezzo politico pagato con questa mossa? Dubbi che è difficile chiarire fino in fondo ma su cui è possibile iniziare a dare delle prime risposte. Che partono da una premessa: in Somalia è andata in corso una vera e propria operazione diplomatica e di spionaggio che ha svelato un enorme sommovimento strategico all’interno del territorio somalo. Ed è il primo punto da cui partire per comprendere perché l’Italia ha di fatto dovuto delegare l’operazione al Mit e ai servizi somali.
Come si è arrivati a questo è facile da comprendere. Una fonte qualificata ha svelato al Fatto Quotidiano il retroscena della ritirata della diplomazia e dell’intelligence italiana nel corso degli ultimi anni dal territorio somalo, con il risultato che quella rete di rapporti invidiata da tutti (anche dagli stessi Stati Uniti e dalle potenze europee) adesso è totalmente depotenziata. Un depotenziamento su cui pesa anche la fine del mandato di Abdullai Ghafow dal ruolo di capo dei servizi segreti somali, uomo che era stato addestrato anche dagli italiani. Insomma, a Mogadiscio l’Italia conta sempre meno. E non è un caso che a questa ritirata (sicuramente non strategica) sia arrivata la penetrazione di un Paese come la Turchia che invece da anni ha avviato un lento e costante processo di inserimento nei gangli del Paese, tanto che Erdogan ha ormai assunto il ruolo di protettore delle sorti della Somalia. Un ruolo che sta stretto soprattutto agli Emirati Arabi Uniti, che invece vogliono sfruttare il caos dell’Africa orientale per inserirsi in una partita in cui sfidano da un alto Erdogan ma dall’altro lato il suo finanziatore occulto: il Qatar dei Fratelli Musulmani. Tanto è vero che Roma avrebbe chiesto anche informazioni ad Abu Dhabi, che però stando ad alcune indiscrezioni, avrebbe chiesto una partita ben più elevata che riguardava la Libia.
E qui si arriva al punto dolente: la Libia. Perché se è vero che la Turchia ha dimostrato di decidere le sorti della Somalia, è altrettanto vero che il prezzo da pagare non riguarda soltanto l’immagine di un’Italia che si ritira dal Corno d’Africa, ma anche di una possibile e inquietante contropartita libica. Gli Emirati avrebbero chiesto all’Italia il cambio di casacca: sostegno a Khalifa Haftar e non al nemico di Tripoli. La Turchia, che invece si trova con noi a convivere difficilmente nel sostengo a Fayez al Sarraj, probabilmente otterrà più libertà d’azione in campo libico: operazione Irini permettendo che però, va ricordato, per ora vede solo una nave francese nelle acque del Mediterraneo.
L’intricato gioco di spie e di diplomazia tra Italia e Turchia ovviamente non poteva non coinvolgere gli Stati Uniti. Washington sembra non aver apprezzato affatto le decisioni prese da Roma insieme ad Ankara. E così anche Londra. E per Repubblica il governo si aspetta una richiesta di informazioni dagli alleati Usa nel prossimi giorni. Del resto è abbastanza chiaro come dalle parti del comando Usa per l’Africa non possa essere vista troppo di buon occhio questa missione per liberare Romano. Vero è che sono due alleati Nato, ma è anche vero che esistono degli equilibri e delle strategie che per gli Stati Uniti è essenziale coordinare. Come giustificare il pagamento di un riscatto milionario a una milizia affilata ad Al Qaeda che caccia e droni statunitensi bombardano con sempre maggiore intensità da qualche anno? E soprattutto in cosa consiste il presunto scambio di favori in Libia quando gli stessi americani dubitano sia dell’interventismo turco che della leadership di Sarraj? L’Italia si trova in un intricato gioco di equilibri e probabilmente a Washington non piace questo espansionismo dell’intelligence turca senza una chiare definizione dei ruoli. Soprattutto se a condurre il gioco è un elemento come Erdogan che più volte ha mostrato di non seguire la linea dettata dalla Nato, sia in Siria che nel Mediterraneo orientale.

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