Diaz: benvenuti a Guantanamo, provincia di Genova

apr 9, 2012 0 comments
Di Maso Notarianni
Benvenuti a Santiago del Chile, o anche a Città del Guatemala, oppure alla Lubjanka di Mosca. E invece siamo solo in una sala cinematografica, in Italia, nel 2012. A vedere una storia che in pochi conoscono accaduta a Genova appena dieci anni fa.
Certo, Diaz, don’t clean up this blood, vincitore del premio del pubblico al Festival di Berlino, è un film. E persino un film “di cassetta”, come si diceva un tempo. E quindi è in qualche modo edulcorata, quella storia. Leggenda (più che leggenda, a dire il vero) dice che la sceneggiatura sia stata fatta leggere ai carnefici e non alle vittime prima di avviare la produzione. Una produzione che ha anche scelto (come sempre accade nei film di cassetta per lasciare un filo di speranza agli spettatori) di far comparire un buono tra i cattivi, un buono che nella realtà non è esistito nemmeno un po’.
346 Poliziotti, oltre a 149 Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici” parteciparono alla “più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, secondo la definizione di Amnesty international: l’irruzione nel media center del Genoa Social Forum nella notte di sabato 21 luglio 2001. Un macello.
Un macello che il film sbatte in faccia a tutti quelli che di Genova non sanno nulla. A tutti quelli (e sono tantissimi, troppi perchè sono la maggioranza delle persone) che pensano che quei tre giorni siano stati caretterizzati dai saccheggi, dagli atti vandalici, dalle scorribande di una manica di teppisti venuti da ogni parte d’Italia e d’Europa. Lo fa apparentemente senza filtri, sebbene le pagine scritte dai magistrati che su quei fatti hanno indagato siano in realtà molto più crude e devastanti di quanto un film possa mostrare.
E Diaz è un film, prima di tutto. Con ottimi attori, ottima regia e ottima sceneggiatura. Ma è un film che a differenza di altri non costruisce falsi storici o falsi eroi buoni, perché persino il poliziotto buono che ad un certo punto della notte comanda i suoi di lasciare la scuola, di uscire, di mettere via i tonfa (i manganelli più cattivi) è un mostro e un complice di tutto quel che accade prima e dopo.
È un film che farà discutere, tant’è che il ministero dell’Interno ha dovuto mandare una circolare per vietare a poliziotti, carabinieri o finanzieri di commentarlo senza l’approvazione dei superiori. È un film che certamente verrà criticato da chi c’era, a prendere le manganellate. Perché è vero che la realtà che racconta è edulcorata.
Ma senza quei tocchi di finzione, non sarebbe stato un film sostenibile. Perché quello che accadde alla Diaz e poi a Bolzaneto, ma anche prima nelle strade e nelle piazze di Genova non è sostenibile. Semplicemente non sarebbe potuto accadere. E invece, purtroppo è accaduto.
Anzi non purtroppo. È accaduto perché, e questo il film lo mostra bene, c’è stata una precisa scelta politica dietro a quel macello. E i tutori dell’ordine non fanno scelte politiche. Loro – e accidenti se il film lo mostra chiaramente – godono nel mettere in atto quella scelta. E approfittano dell’impunità che quella scelta garantirà loro.
Forse i cartelli che appaiono in coda avrebbero potuto dare un nome e un cognome reale ai protagonisti anche senza attendere la sentenza della cassazione che metterà la parola fine alle vicende processuali. Ma leggere che dei circa 350 poliziotti che presero parte al massacro solo 45 sono stati processati e solo 44 sono stati condannati pur continuando la loro brillante carriera è decisamente più importante. Chi vorrà, potrà approfondire sui libri e sui siti internet.
Tutti gli altri comunque sapranno. Dal 13 aprile, semplicemente andando al cinema. Non accade spesso.

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